A guardarne le performance sul grande schermo — dalla sottile follia dell’Ispettore Clouseau all’irriverente satira di Il dottor Stranamore — Peter Sellers appare come uno degli attori comici più versatili e brillanti del XX secolo. Un camaleonte del palcoscenico, capace di passare da un personaggio all’altro con una disinvoltura che rasenta il sovrumano. Eppure, al di là dell’obiettivo, dietro le maschere che lo hanno reso celebre, si celava un uomo tormentato, capace di gesti geniali quanto di atti profondamente disturbanti.
Un talento straordinario, certo. Ma anche una personalità esplosiva, instabile, e — come testimoniato da chi gli è stato vicino — spesso crudele.
Nato nel 1925 a Southsea, in Inghilterra, Richard Henry Sellers — conosciuto universalmente come Peter — crebbe in una famiglia teatrale. Fin da giovane mostrò una predisposizione quasi prodigiosa per le imitazioni e i travestimenti, capacità che più tardi avrebbe trasformato in strumenti per dominare la scena internazionale. La sua carriera decollò negli anni ’50 con The Goon Show, e proseguì con una serie di successi cinematografici che lo avrebbero consacrato tra i grandi. Ma il successo fu anche il preludio a un’escalation di comportamenti sempre più distruttivi, sia verso sé stesso che verso gli altri.
Secondo numerose testimonianze, tra cui quelle delle sue ex mogli e dei suoi figli, Sellers era un uomo dominato da paranoie, sbalzi d’umore e dipendenze che lo rendevano imprevedibile e pericoloso. L’attrice Britt Ekland, sua seconda moglie, raccontò in interviste successive un matrimonio segnato da violenze psicologiche e fisiche: dalle minacce con armi da fuoco alle crisi isteriche alimentate da cocaina e alcol. Le altre tre mogli dell’attore hanno confermato dinamiche simili, delineando un quadro di controllo ossessivo, intimidazioni e abusi.
La fine delle relazioni sentimentali coincideva spesso con il tracollo finanziario per le sue compagne. Sellers, abile nel manipolare contratti e patrimonio, faceva in modo che le sue ex mogli uscissero dai matrimoni pressoché senza un soldo, nonostante la sua immensa fortuna.
Anche i figli di Sellers, da quanto emerso in più occasioni pubbliche, vissero in un clima di terrore costante. Sveglie improvvise nel cuore della notte, durante le quali chiedeva loro se dovesse divorziare dalla madre. Umiliazioni pubbliche. Atti di disprezzo. In un gesto che molti hanno definito emblematico della sua personalità, chiese ai figli di rinunciare al cognome paterno e li escluse completamente dal testamento. Nessun supporto, né affettivo né economico, nemmeno dopo la sua morte avvenuta nel 1980, a soli 54 anni.
Il comportamento di Sellers non migliorava negli ambienti professionali. Registi, attori e tecnici descrivono un uomo capace di gesti grandiosi davanti alla macchina da presa e di esplosioni isteriche non appena si spegnevano i riflettori. Spesso arrivava sul set ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti. In più di un’occasione distrusse oggetti di scena o aggredì verbalmente (e talvolta fisicamente) colleghi e membri dello staff tecnico. Era noto per ottenere il licenziamento di attori e maestranze per ragioni arbitrarie o addirittura superstiziose.
Un aneddoto rimasto celebre riguarda il regista italiano Vittorio De Sica, che in un incontro informale suggerì a Sellers che il colore viola fosse associato alla morte. Da quel momento, ogni elemento viola — dai costumi ai dettagli di scena — diventò per l’attore un bersaglio di furia: chiunque osasse indossare il colore era a rischio di espulsione immediata dal set.
Ci si potrebbe chiedere perché un comportamento simile venisse tollerato. La risposta, purtroppo, è semplice e già vista in altre epoche e contesti: Peter Sellers era una macchina da soldi. I suoi film incassavano milioni, il suo nome garantiva biglietti venduti e visibilità internazionale. Le case di produzione, consapevoli delle sue fragilità, preferivano chiudere un occhio — o entrambi — pur di sfruttarne il potenziale commerciale. Di fronte ai segnali evidenti di un declino psichico e fisico, nessuno intervenne in modo decisivo. I suoi problemi cardiaci, già noti negli anni ’60, vennero ignorati a lungo, aggravati da uno stile di vita sregolato e da un disinteresse cronico per la propria salute.
Peter Sellers morì il 24 luglio 1980 per un infarto. Aveva 54 anni, e lasciava dietro di sé una carriera straordinaria, capace di ridefinire i canoni della comicità moderna, ma anche una lunga scia di dolore personale, familiare e professionale.
Il suo lascito divide ancora oggi critica e pubblico: da un lato, c’è l’artista capace di incarnare multipli personaggi in un singolo film con una maestria senza pari, come in Il dottor Stranamore; dall’altro, un uomo che sembrava incapace di trovare equilibrio fuori dai ruoli che interpretava. “Peter non aveva un vero sé”, disse una volta Blake Edwards, regista di molte pellicole della serie La Pantera Rosa. “Era tutti i suoi personaggi, ma non era nessuno di loro”.
La vicenda umana di Peter Sellers solleva interrogativi che restano ancora oggi irrisolti: quanto deve essere tollerato, giustificato o persino celebrato in nome dell’arte? È giusto separare l’artista dall’uomo, ignorandone le ombre per esaltarne la luce?
Non vi sono risposte semplici. Ma vi è la certezza che, nella vita di Peter Sellers, la comicità era spesso solo una maschera — forse la più riuscita — indossata da un uomo che, in fondo, non sapeva davvero chi fosse.
Un uomo capace di far ridere milioni, ma incapace di amare senza ferire. Un attore che sapeva trasformarsi in chiunque, tranne che in sé stesso.