Sapendo che mi diletto a scrivere, un amico mi ha prestato un libricino che ha scritto: “Sappimi dire che ne pensi”. Ahia, mi tocca. Forza dai, leggiamolo che non si sa mai. L’ho letto e qualcosa mi dovrò inventare, ma a voi lo posso dire chiaramente. Questo è il libro più brutto che abbia letto in vita mia.

E pensare che ne ho letti tanti ma questo fa veramente... (mettete voi il verbo). Sconclusionato, senza senso, ridicolo. Iniziarlo è stato un atto di giustizia, finirlo un atto di volontà. Non dirò il suo titolo, è un self-publishing di cui presto non si parlerà più. Spero. Meno male che è breve.

Una lettura talmente brutta però che è stata molto molto istruttiva. Leggendolo erano sempre più palesi quegli ERRORI DI BASE nella scrittura di cui spesso ho sentito parlare dai correttori di bozze. Ho provato una gran pena pena improvvisamente per questi lettori professionisti. Sapere che passano ore al giorno a leggere opere di questo genere per le case editrici mi è sembrata una tortura indicibile.

Ecco alcuni degli “errori” che ho individuato e che da ora in avanti cercherò di evitare se mi metto a scrivere:

AUTOBIOGRAFISMO: a quanto pare, quasi il 100% dei neo-autori ci casca, ,A meno di non avere avuto una vita straordinaria (e nemmeno in quel caso è garantito), a nessuno -a parte la mia mamma- interessa sapere delle mie vicissitudini. Amara verità ma è così. Insomma, compiere uno sforzo e andare oltre se stessi quando si scrive.

SCIATTERIA: convinti che quanto stanno scrivendo ha un grande valore, spesso questi neo autori rendono la vita difficile al lettore. “Tanto quello che scrivo è talmente bello e ispirato che non mi devo preoccupare.‘ Preoccupati anche della forma invece. Rimandi sconclusionati, svarioni, caratteri diversi, errori di stumpa, formattazioni fantasia, usare “fare” al posto del verbo giusto etc. E qualcuno spieghi che i puntini di sospensione hanno il magico potere di rompere le balle.

IL SENSO DELLA VITA: troppo spesso i personaggi, invece di agire e appassionare il lettore in trame coinvolgenti, capiscono “il senso della vita” mentre sono su una panchina o impegolati nel traffico o fuori a pisciare il cane. Lascio alla vostra fantasia gli entusiastici commenti nel vedersi imporre banalità zen. Evitare.

RACCONTINI: altro errore dei neofiti è quello di proporre raccontini invece che storie di largo respiro con personaggi di spessore. Bisognerebbe avere il coraggio invece di iniziare una novella che sarà più lunga delle previste tre-quattro paginette con personaggi appena abbozzati, anche se costerà fatica. E’ come proporre un biscottino Ringo a chi ha fame. Un conto è scrivere “anche” raccontini, un conto è scrivere “solo” raccontini e sospetto che la differenza si intuisca benissimo.

Vabbè, mi fermo qui. Ce ne saranno sicuramente altri ma questi leggendo mi son saltati all’occhio. Purtroppo il libretto brutto l’ho finito.




I Sugarhill Gang sono un gruppo hip hop statunitense, celebre per il brano Rapper's Delight, il primo pezzo hip hop a giungere nella Top 40 delle classifiche statunitensi.

Il gruppo è costituito da:

  • Wonder Mike,

  • Big Bank Hank,

  • Master Gee.

Grazie alla produttrice discografica Sylvia Robinson, fondatrice dell'etichetta Sugar Hill Records il gruppo registrò Rapper's Delight, un successo che vendette più di 8 milioni di copie nel mondo.

In seguito registrarono altri brani che non raggiunsero la notorietà del primo fra cui 8th Wonder, dopo un periodo di oblio tornarono sulle scene nel 1999 con l'LP Jump On It.

Nel 2009 Wonder Mike e Master Gee collaborano con il dj Bob Sinclar per LaLa Song, brano che riporta gli Sugarhill Gang alla fama di un tempo e si piazza subito come hit alle vendite e colonna sonora dell'estate del 2009.

La Sugarhill Gang fa una breve apparizione nel telefilm statunitense Scrubs, dove si esibiscono con Rapper's Delight.

L'11 novembre 2014, Michael “Wonder Mike” Wright e Guy “Master Gee” O'Brien comunicano al sito TMZ che Hank Jackson, ovvero Big Bank Hank, è morto, a New York, all'età di 57 anni.




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Il sequencer (traducibile come "sequenziatore") è un dispositivo di tipo sia fisico (hardware), sia logico (software), utilizzato nel campo musicale per la creazione e riproduzione di sequenze di segnali di controllo, che consentono di comandare uno strumento musicale elettronico.
Sebbene il sequencer venga usato per fini musicali, esso non dev'essere confuso col dispositivo di registrazione audio. A differenza del registratore, dove sono le forme d'onda di un suono a essere memorizzate, nel sequencer non viene memorizzato alcun segnale audio a parte quello di controllo; si può immaginare un sequencer come una "mano elettronica" automatica e programmabile che suona strumenti e regola pulsanti e potenziometri di sintetizzatori e processori audio.
I primi dispositivi fisici che si avvicinavano a tale scopo erano due strumenti elettromeccanici costruiti negli anni cinquanta da Raymond Scott: il Wall of Sound e l'Electronium.
Negli anni sessanta del XX secolo al fianco dei primi sintetizzatori analogici, la cui altezza tonale delle note prodotte era controllata da un valore di tensione, troviamo lo Step Sequencer che permetteva di ripetere ciclicamente una sequenza di controllo preimpostando tutti i passi, ovvero una serie di tensioni che componevano la sequenza. Tale sequenza di tensioni elettriche andava a controllare direttamente i VCO (Voltage Controlled Oscillator) del sintetizzatore e quindi l'intonazione della voce sintetizzata, producendo così la nota desiderata. Il segnale elettrico di controllo poteva essere usato sia per generare una melodia sia per controllare altri parametri del sintetizzatore, come per esempio la frequenza di taglio del filtro.
Nel 1971 Ralph Dyck sviluppò il prototipo di un sequencer analogico che sfruttava la tecnologia digitale per memorizzare gli eventi. La memoria digitale permetteva di memorizzare un gran numero di eventi, circa 1000, superando il problema della memoria dei sequencer step, che si limitavano a riprodurre una sequenza piuttosto corta composta da alcuni voltaggi in serie. Nel 1976 la Roland, sviluppando il prototipo di Dyck, mise in commercio il sequencer MicroComposer MC8.
L'MC8 era dotato di molta più memoria del prototipo di Dyck e disponeva di otto tracce programmabili. Come molti sintetizzatori della metà degli anni settanta, utilizzava la tecnologia digitale solo per quanto concerneva la memoria, mentre le uscite erano analogiche poiché non esisteva ancora un segnale di controllo digitale. Grazie alle otto uscite di controllo era possibile pilotare anche più di uno strumento alla volta o di sfruttare lo strumento controllato in maniera polifonica. Il MicroComposer era difficile da programmare; tramite una piccola tastiera numerica era necessario inserire complicate sequenze numeriche relative agli eventi da memorizzare e riprodurre.
Solo successivamente nacquero anche sequencer che permettevano di memorizzare una sequenza di note semplicemente suonandola. Sebbene tali macchine avessero una compatibilità limitata, ricoprirono un ruolo fondamentale nello sviluppo della musica elettronica degli anni ottanta, dato che permisero la composizione e l'esecuzione di brani anche ai musicisti amatoriali.
Con l'avvento negli anni ottanta del protocollo MIDI le possibilità dei sequencer si ampliarono: Il MIDI permetteva di trasmettere 16 esecuzioni polifoniche contemporaneamente con tutto il relativo corredo di espressioni esecutive. Questo grande salto di qualità fu ampliato da un altro salto di qualità che all'epoca la tecnologia stava compiendo: il computer da pachidermico strumento sperimentale dalle prestazioni modeste acquisiva sempre maggiori capacità di calcolo a costi e ingombri sempre minori, diventando così sempre più un oggetto comune. Aziende come Atari e Commodore producevano macchine a 8 e 16 bit alla portata del proprietario di uno studio e fu così che il computer cominciò ad essere utilizzato come sequencer, grazie a opportune applicazioni e alle interfacce MIDI che lo mettevano in comunicazione con qualsiasi apparecchiatura compatibile.
Uno dei primi programmi scritti per tale scopo fu Cubase. Esso permetteva di programmare attraverso il formato MIDI le partiture per i sintetizzatori e le batterie virtuali. C'erano anche altri programmi dotati di simili funzionalità ma questi costringevano i compositori a programmare ad un livello molto basso. Tuttavia qualcuno intuì le potenzialità di questo strumento e l'utilizzo del computer come sequencer iniziò a prendere campo. Negli anni novanta ebbero successo i tracker; Questi programmi trasformarono per la prima volta il computer in una vera e propria DAW. Essi davano all'utente la possibilità di lavorare non solo attraverso i file MIDI e le interfacce dei dispositivi esterni ma anche tramite l'assegnazione agli stessi MIDI di campioni audio da manipolare tramite degli effetti audio. Era previsto anche l'esportazione dei progetti in formato .mod.
Sarà proprio questa la strada che seguiranno i sequencer. Cubase infatti nel 1996 lancia il Cubase VST, una versione del già noto programma che introduce due novità molto importanti:
  • Il protocollo VST che permette di comporre musica escludendo completamente tutti i dispositivi fisici esterni alla stazione audio digitale grazie a una tecnologia che permette di assegnare a programmi MIDI strumenti ed effetti, questi ultimi arrivati in un secondo momento con Cubase SX, sotto forma di espansioni.
  • La tecnologia ASIO che aggira i driver nativi della scheda audio per offrire dei driver con valori di latenza molto bassi e permettere quindi al compositore di lavorare in tempo reale sulle proprie produzioni suonando attraverso le tastiere MIDI o registrando e sentendo contemporaneamente i risultati.
Sia il protocollo VST che la tecnologia ASIO diventano veri e propri standard per il mercato, sempre più fiorente nel periodo a ridosso del XXI secolo in una situazione di grande offerta, con programmi che fecero dimenticare il lavoro per i primi dischi prodotti al computer, nei quali note e battute erano righe di comando. I sequencer diventano sempre più potenti, versatili e hanno un'interfaccia utilizzabile anche dal pubblico scarsamente specializzato. Sarà proprio questa fascia di pubblico quella investita da maggiori novità: tra programmi come Magix Music Maker ed Ejay Dance che permettono un approccio amatoriale, nasce nel 2000 Fruity Loops della Image-line, programma inizialmente distribuito liberamente che faceva della semplicità e immediatezza il suo punto di forza. Il programma risultava però molto grezzo, quindi l'utente professionale preferiva altri applicativi come il collaudatissimo Cubase o Logic Pro. Lo stesso Fruity col tempo espanderà le sue funzioni fino ad arrivare alla versione 8, con i consensi di artisti affermati come Tiga.
Diretto concorrente di Fruity Loops in questi anni sarà Reason, che percorre una strada praticamente inversa rispetto a quella seguita dagli altri sequencer: se infatti lo stesso Cubase ed altri nel tempo hanno seguito una linea ispirata alla versatilità, il riutilizzo di parti di programma e soprattutto al distacco dai metodi dell'era hardware, Reason invece tenta di simulare i vecchi studi fatti di armadi di sintetizzatori collegati attraverso fili, idea che alletta molti addetti ai lavori che lo eleggono come programma principale utilizzato nelle loro opere. Questo successo però servirà anche a portare verso la definitiva affermazione di altre tecnologie: il ReWire, già sperimentato con un altro pezzo di storia dei sequencer come ReBirth, che permette di collegare in tempo reale diversi sequencer, il formato audio "REX", ovvero praticamente un WAV contenente informazioni di suddivisione del file stesso in piccole parti dette ritagli (in inglese slice). Questi file vengono suonati attraverso il sampler di Reason Dr.Rex e hanno la proprietà di adattarsi automaticamente alla velocità di riproduzione dell'audio, indipendentemente dal BPM del file originale.
Queste tecnologie diventano parte di un po' tutti i programmi in uscita, così come accaduto per ASIO e VST, e rendono più potenti programmi già apprezzati per la loro semplicità come Sony Acid PRO e Ableton Live, nati per lo studio, ma diventati poi gli strumenti preferiti rispettivamente per il montaggio audio e per le esibizioni dal vivo dei DJ, grazie ad alcune innovazioni come il formato "acid loop", ancora più potente del REX visto che si tratta di normalissimi file WAV, e un sistema di sequencer attraverso slice per Ableton Live. In questi anni il sequencer che più attira l'attenzione di tutto il settore, tanto da rubare il posto storico di Cubase, è Pro Tools, ovvero il concentrato di tutte le tecnologie più avanzate. I suoi punti di forza sono i nuovi protocolli per le espansioni e la novità di basarsi su un hardware specifico considerato di grande qualità prodotto dalla stessa casa madre del programma, la Digidesign; di conseguenza buona parte del mondo della produzione audio-video si affida ad esso diventando standard anche per una questione di portabilità
La maggior parte delle tastiere-stazioni di lavoro attuali è dotata di un sequencer MIDI che viene sfruttato spesso dal vivo per riprodurre parti aggiuntive del brano musicale, che il tastierista non potrebbe eseguire altrimenti.
I sequencer fisici basati sulla tecnologia digitale sono stati molto diffusi fino all'avvento dei più flessibili sequencer logici, eseguiti cioè come programmi informatici. Per la programmazione di sequenze complesse il sequencer logico ha potuto sfruttare le ampie interfacce grafiche, l'integrazione con i sintetizzatori virtuali, l'espandibilità e la flessibilità di comunicazione del sistema operativo dei moderni computer. Nel corso degli anni la comunicazione e l'interazione di sintetizzatori di diverse marche con i sequencer hanno richiesto l'adozione di un protocollo standard riconosciuto con l'acronimo di MIDI (Musical Instruments Digital Interface).
Malgrado la progressiva migrazione verso gli strumenti informatici, i sequencer digitali basati sull'elettronica sono ancora indispensabili componenti per alcuni strumenti musicali come i sintetizzatori e le drum machine. Soprattutto grazie alla maggiore velocità dei processori per PC, all'integrazione tra audio e MIDI e al continuo sviluppo di nuovi algoritmi per espansioni, l'utilizzo di sequencer software sta soppiantando quello di apparecchiature fisiche, permettendo il controllo di tutte le fasi della creazione artistica in un vero e proprio studio virtuale.


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Il tubo parlante è un apparecchio che consente al musicista di modificare il suono di uno strumento musicale attraverso i cambiamenti di forma della propria bocca.
L'effetto musicale in questione modifica il contenuto armonico del suono dello strumento, consentendo ad esempio di ottenere un'imitazione della voce umana. Viene applicato soprattutto alla chitarra elettrica ma è utilizzato anche nelle tastiere. Simile talkvocoder VST per computer.
Il talk box è un effetto a pedale e al suo interno ospita un altoparlante, al quale è collegato un tubo di plastica, la cui estremità viene posizionata vicino alla bocca dello strumentista, collegata ad un microfono. Quando l'effetto è attivato, il suono viene indirizzato attraverso il tubo alla bocca del musicista, il quale, modificandone la forma e la posizione della lingua, cambia (modulandolo) anche il contenuto armonico del suono. Il meccanismo è del tutto analogo a quello con cui la voce proveniente dalle corde vocali viene modulata a formare il parlato, con la differenza che nel caso del talk box il suono di partenza è quello dello strumento musicale. Il risultato del processo viene raccolto dal microfono e passato ad un amplificatore, ottenendo così l'effetto di chitarra parlante.
L'effetto nacque nel 1969, ma conobbe la sua popolarità qualche anno dopo, quando fu utilizzato da Peter Frampton nel brano Do You Feel Like We Do e da Pete Townshend degli Who.
A partire dagli anni ottanta il talkbox viene utilizzato da molti artisti tra cui:
  • James Hetfield (Metallica) nell'assolo di The House That Jack Built (1996);
  • Rockets
  • Jeff Beck (She's a woman - dall'album Blow by Blow - anno 1975)
  • Richie Sambora (Bon Jovi) in molti brani fra cui Livin' on a Prayer (1986), It's My Life (2000), "Everyday" (2002), We Got It Going On (2007) e This Is Love This Is Life (2010)
  • Roger Troutman ha utilizzato la talk box con gli Zapp e nei dischi solisti in vari brani, tra cui More Bounce to the Once" (1980), I Heard It Through the Grapevine (1981), Doo Wa Ditty (Blow That Thing) (1982), Heartbreaker (1983), In the Midnight Hour (1984), Superman (1997);
  • Tupac Shakur featuring Dr. Dre e Roger Troutman in California Love (1995);
  • David Gilmour (Pink Floyd) in Pigs (Three Different Ones) (Animals, 1977) e Keep Talking (The Division Bell, 1994);
  • Pino Daniele in 'Na tazzulella e cafè (Terra mia 1977) e in Nun me scuccia' (Nero a metà 1980);
  • Robb Weir (Tygers of Pan Tang) nell'album The Cage (1982);
  • Hillel Slovak (Red Hot Chili Peppers) in Green Heaven (versione demo - demo version) (1983) e Subterranean Homesick Blues (The Uplift Mofo Party Plan) (1987);
  • Matthias Jabs (Scorpions) nella celeberrima The Zoo (1980) oltre che in Media Overkill (1988) e Cause I Love You (2002);
  • Alessandro Cecchin nell'album The Overmind I;
  • Mick Mars (Mötley Crüe) in Kickstart My Heart (1989);
  • Jerry Cantrell (Alice in Chains) nel brano Man In The Box (1991);
  • Joe Perry (Aerosmith) nel brano "Sweet Emotion" (1975);
  • Leo Leoni (Gotthard) in Mountain Mama;
  • Slash (Guns N' Roses) fa uso del talk box nel brano Anything Goes (Appetite for Destruction 1987);
  • Dave Navarro (Red Hot Chili Peppers) nel brano Falling Into Grace (One Hot Minute, 1995)
  • Dave Grohl (Foo Fighters) nel brano Generator (2000);
  • Adam Jones, chitarrista dei Tool, lo utilizza nel brano Jambi, contenuto nell'album 10,000 Days (2006);
  • Stevie Wonder in Volare (2009);
  • Snoop Dogg in Sensual Seduction (USA 2007) (UE 2008);
  • Brian May in Delilah (Innuendo, 1991);
  • Ben Wells (Black Stone Cherry) in White Trash Millionaire;
  • Zakk Wylde (Black Label Society) in Fire it Up (2005);
  • Joe Walsh in Rocky Mountain Way (1973);
  • Orly Sad The Original Funkster in Clover Bounce 69 (2009);
  • M. Shadows (Avenged Sevenfold) nel brano "Lost" (2007)


Nomino Mycroft Holmes. L'unica persona che fa sembrare Sherlock Holmes comune al confronto. Eppure si sa poco di lui, è un uomo misterioso avvolto da intrighi.



"Costruito pesantemente e massiccio, c'era un suggerimento di rozza inerzia fisica nella figura, ma sopra questa struttura ingombrante era appollaiata una testa così magistrale nella sua fronte, così vigile nei suoi occhi grigio acciaio, infossati, così fermo nelle sue labbra, e così sottile nei suoi giochi espressivi, che dopo il primo sguardo si dimenticava il corpo grossolano e si ricordava solo la mente dominante"


A parte gli stunt-man, attori acrobati abilissimi nel cadere, picchiare o venire picchiati, qualunque attore che debba interpretare un film d’azione può imparare a simulare in modo realistico una scazzottata. Alla base della tecnica c’è che chi sferra il pugno deve farlo passare a qualche centimetro dal mento o dal volto dell’avversario e quest’ultimo deve ruotare la testa o piegare il corpo nello stesso istante in cui il pugno gli passa vicino. Non è facile, soprattutto quando di pugni se ne scambiano parecchi uno dietro l’altro.

Le scene di rissa vanno montate come balletti ed ogni attore deve ricordare bene quello che deve fare. Ad insegnare tecniche e movimenti ed a montare le sequenze delle risse provvedono i “maestri D’armi”, abilissimi istruttori, tra i quali ricordiamo Renzo Musumeci Greco per quanto riguarda spade e duelli e Sal Borgese (che era anche un ottimo stunt-man) per le scazzottate.


Sal Borgese




Non gli conviene farlo, perchè chi muove le fila di Hollywood ed ha deciso di assegnarglielo, si offenderebbe non poco e dopo lui non lavorerebbe più.

A Hollywood lavori se sei gradito a certe lobby, se le fai irritare, sei fuori.
Roberto Benigni ha realizzato due bei film: "La vita è bella"e "La tigre e la neve".
Il primo è stato molto graditoe lo hanno osannato.
Il secondo è stato molto indigesto e lo hanno scaricato per sempre.
La grande amicizia con Woody Allen, che è una potenza a Hollywood, ha fatto in modo di regalargli ancora quache ruolo, ma un altro Oscar se lo sogna.
Steven Seagal, in "Sfida fra i ghiacci", chiude con un discorso che va a toccare sul vivo le lobby petrolifere.
Hollywood l' ha presa molto male, si è rotta l' amicizia e la collaborazione con Nasso e non hanno mai smesso, nemmeno dopo 30 anni,di gettargli fango addosso.
Parlano di lui, solo per criticarlo, poi la calunnia è un venticello che si trasforma in un rombo di cannone.





Luciano de Crescenzo (1928-2019).



Sono cresciuto leggendo i miti greci a fumetti scritti da questo straordinario uomo di cultura, e per questo la sua scomparsa mi toccò profondamente.

Tralasciando gli aspetti meramente personali, ho scoperto di recente una curiosità che lo riguarda: teneva sempre in tasca un biglietto da visita molto particolare.

Esso recitava: “Mi spiace non averti salutato subito, ma sono affetti da una menomazione fisica, detta prosopagnosia, che consiste nell’impossibilità di riconoscere le persone dai soli tratti somatici, pur riconoscendole dal suono della voce”.

Con stile, garbo ed umanità si scusava di avere una malattia invalidante. Che sensibilità straordinaria!


 



Nei primi anni del Novecento, il cinema comico propone alcune maschere della commedia dell'arte, ad es Pierrot.

Charlie Chaplin non è solo un attore comico, un regista che sa esaltare la comicità, ma, con il personaggio di Charlot, inventa una maschera.
La prima maschera della commedia dell'arte moderna, nata nel cinema, mentre tradizionalmente, le maschere della commedia dell'arte nascevano dalla letteratura.
Charlot non parla, questo rende ancora più difficile far appassionare il pubblico al personaggio.
Charlot fa ridere e raccoglie tanti sentimenti ed emozioni positive.
La scena in cui si accorge che la fioraia è cieca (e avviene solo alla fine), è un capolavoro che non ha uguali.






Ci sono delle storie interessanti riguardo alla produzione del film Apocalypse Now, che probabilmente la maggior parte dei lettori di questa risposta avranno visto…

In questo film ci sono due attori che hanno avuto delle richieste particolari: ovviamente uno di questi è Marlon Brando.

Francis Ford Coppola e Marlon Brando avevano lavorato insieme già prima di Apocalypse Now ed il grande regista sapeva di doversi aspettare qualche disastro sul set per colpa dell’attore… non poteva però aspettarsi che, dopo aver firmato un contratto per 3.500.000 $ (tre milioni e mezzo, che per l’epoca erano una cifra spropositata), Brando si sarebbe presentato ingrassato, calvo, con tre settimane di ritardo e senza aver letto il libro Heart of Darkness, da cui é ispirato il film.

Ma questo non è tutto.

In seguito ad un errore di comunicazione con Dennis Hopper, Brando ha rifiutato di girare insieme al collega.

E qui arriviamo al secondo attore protagonista di questo post:



Dennis Hopper ha firmato il contratto per fare il film, solo dopo che il regista gli ha promesso che avrebbe girato almeno una scena col suo eroe Brando!

Ma la richiesta assurda non era questa: l’attore ha richiesto che gli venisse portata una grossa quantità di cocaina sul set ogni giorno, oltre a litri di alcol…



E solo allora ti concederanno piena attenzione”

John Doe.

Seven è considerato (giustamente) un capolavoro della settima arte. Film cupo, crudo e devastante, nobilitato dalla magistrale prestazione del duo Freeman/Pitt, è annoverato nei libri di storia del cinema non solo per la trama e la trasposizione, ma anche per i suoi titoli di testa.

Kyle Cooper, il designer, seguì minuziosamente le indicazioni del regista David Fincher che voleva una sequenza di apertura frenetica, instabile e priva di punti di riferimento proprio per evidenziare sin dal principio la struttura mentale dell’assassino John Doe.

Ma chi è questo killer? E quale attore interpreterà il suo ruolo?



A rendere perfetta l’ introduzione ci fu l’intuizione proprio di John Doe, al secolo Kevin Spacey che ebbe la geniale idea di far omettere il proprio nome nell’intro della pellicola per lasciare il pubblico all’oscuro sull’identità dell’ omicida.

Inoltre, nonostante fosse già un nome di rilievo, vietò categoricamente che il suo nome trapelasse anche tra gli addetti ai lavori, preservando fino all’ultimo quell’alone di mistero e lasciando tutti sbigottiti alla sua entrata in scena.


Quentin Tarantino.



Otto milioni di dollari costò la creazione di Pulp Fiction, di cui più di cinque spesi per pagare il cast stellare (Thurman, Travolta, Jackson, Willis).

Per risparmiare, la produzione e il regista attuarono un piano: invece di comprare o affittare gli oggetti di scena, come si fa solitamente, Tarantino decise di utilizzare cose che appartenevano a lui e ai membri del cast.

La Chevrolet Chevelle che guida Vincent Vega, ad esempio, era sua.

Inoltre molti degli scenari non sono stati ricostruiti negli Studios, ma erano bar, appartamenti o stanza d’albergo che esistono nella realtà.

Ebbe ragione lui: oltre ad essere un clamoroso cult, guadagnò 210 milioni di dollari al botteghino.