Risultati immagini per Il disco dimenticato che racconta i segreti musicali della Milano da bere



Ora tutti parlano di Craxi, ma negli anni '80 a Milano c'è stato molto altro—come questo gruppo di terroristi musicali che flirtava con i grandi del design, della fotografia e della moda. Un disco ha salvato la loro storia dall'oblio.
Alla fine di ogni anno solare esce sempre qualche dato che ti fa saltare sulla sedia. Questa volta il motivo del mio balzo è stato la notizia che Milano sarebbe al primo posto in Italia per qualità della vita. Da bravo romano mi sono detto: ma quale vita? Tranne poche eccezioni, personalmente trovo la capitale lombarda cosparsa di Zyklon B a livello culturale.
C'era però un tempo in cui Milano pullulava di agitatori culturali, di sobillatori e terroristi sonori. Si nascondevano nelle pieghe delle illusioni della Milano da bere degli anni Ottanta e riuscivano nonostante questo a flirtare con i grandi nomi del design, della fotografia e della moda.
Uno dei principali documenti di questa situazione storica musical/politico/ multimediale è la compilation Matita Emostatica, uscita nel 1981 e fino a poco fa difficile da reperire. Oggi invece grazie all’impegno della Spittle, etichetta sempre alla ricerca di recuperi di perle sepolte nel fango del tempo, possiamo riacquistarla.
Credo sia un'operazione importantissima perché Milano si riappropri della sua storia e dell’equilibrio importantissimo tra underground e mainstream, tra serio e faceto, tra pubblicità e situazionismo tout court al di fuori delle solite menate commerciali.
Iniziamo subito dalla copertina, una splendida serigrafia a cura del celebre Roberto Masotti, famoso per essere il fotografo che ha immortalato le vicende della ECM Records, la mecca delle etichette Jazz. E il fotografo ufficiale del Teatro alla Scala. E autore di scatti a John Cage, Arvo Pärt e Demetrio Stratos. E autore di installazioni e video, tra gli altri, per i Matmos.
Il titolo, scritto in caratteri che riecheggiano i fasti delle pubblicità anni Trenta, evoca da subito il manifesto d’intenzioni del disco. L'obiettivo è cicatrizzare le ferite di una città, e giocoforza di un paese intero, a colpi d’inventiva. Vediamo allora chi sono queste menti illuminate sdraiate regalmente in questi solchi.
Le danze si aprono con "Chameaux Tunisiens" di Angelo Viaggi: chi era? Nelle note di copertina si legge che egli lavorava in uno studio di registrazione nel quale ebbe modo di frequentare band come i Camaleonti, i New Dada di Maurizio dei Krisma, e i Corvi. La sua traccia è una sorta di afrobeat new wave, tutto chitarra distorta direttamente nel mixer, percussioni e syndrum passate nell’eco con tanto di xilofono, un basso pulsante in levare e un pianoforte che fa capolino mordendo la partitura.
Per parafrasare il cognome del suo autore, è un viaggio che viene però troncato dopo soli due minuti e ventuno secondi per lasciare il posto ad un rock n’ roll bagnato di new wave ad opera della Baker Street Band. E chi sono? Bé, tali Dave Baker e Chuck Fryers, già nella Treves Blues Band dell’armonicista Fabio Treves, già neò supergruppo prog milanese L’Enorme Maria insieme a Lucio “Violino “ Fabbri della PFM e Alberto Camerini. A loro si unisce il bassista/cantante Tino Cappelletti, poi session man per Mike Bloomfield, Eugenio Finardi, Rocco Tanica, Tolo Marton e via discorrendo.
L’energico trio si fa largo a colpi di chorus come un’alternativa blues elettrica ai Duran Duran, e poi laszia spazio al patron del progetto, ovvero Al Aprile con i suoi Electric Art. Al è il produttore della compilation, ma non solo: giornalista musicale di grido e lui stesso musicista, leggenda vuole che dissuase Battiato dall’usare un nomignolo più “fashion” come ragione sociale.
Oltre ad aver suonato con lo stesso Battiato, Juri Camisasca, Giorgio Gaslini ed essere stato membro della seminale Naïf Orchestra, fece parte dei geniali Fontana, nelle cui file militava anche Maurizio Marsico. Con i fratelli La Bionda registrarono un 45 giri incredibile nell’area del synthpop italiano, uscito nell’81, che diede praticamente il via agli esperimenti mainstream dei Righeira.
La traccia presente in Matita Emostatica, ovvero "Frattonove Under the Sky", è come descritta nel disco un esempio di "rock da camera, rock portatile, rumori del rock, punk jazz, e ancora…" con una lungimiranza che prevede quasi i Cheer-Accident, storico nome dell'etichetta Skin Graft, a con le sue commistioni tra ipnosi e tempi spezzati, con tanto di voce tenorile piazzata a caso.
Un gioiello che fa spazio subito dopo agli Alphaville di Luca Majer e Franco Bolelli, il tecnico del suono dei mitici Magazzini Criminali, compagnia teatrale fiorentina. E com'è il pezzo? Bé, è una serie di nove microframmenti di brano uniti tra loro da un insopportabile, e per questo eccezionale, acufene sintetizzato tra percussioni sub programmate, chitarre no wave e sfracelletti sperimentali estremi quanto succosi.
Il nostro Luca, anche lui parte dei Fontana e presente nella storica compilation Architettura Sussurrante del grandissimo architetto e designer Arturo Mendini, è stato collaboratore dello Studio Azzurro, scrittore di libri musicali e giornalista di settore: ma soprattutto, pare, inventore di brevetti mondiali di tecnologia per il caffè espresso.
I Le Jour Prochain invece suonano una darkwave pestona tra i PIL e i Rats, primordiale, grezza e caratterizzata da un inglese volutamente maccheronico e sguaiato. Nelle sue file troviamo Stefano Comazzi, nei Novanta produttore di technona tipo Grey Area e presente anche nella compilation Gathered targata 1982, che conteneva un ricco campione della new wave/metal del periodo, sotto l’egida di Claudio Sorge.
Il lato B si apre invece all'insegna dell'alcolismo musicale. Il motto di Rocky Schiavone and the Gangsters, tratto dalle note di copertina, è "non ce ne frega un cazzo: facciamo pezzi dei mitici Sessanta perché possiamo suonarli con lo stesso stato d’animo che ha il vecchiardo quando canta 'Romagna mia' o il piccolo infante che ulula 'Candy Candy'".
La matrice Skiantos è ben evidente, ma è spruzzata di rock steady/ska/dub e non si perde in tecnicismi inutili. In questa cover di "Nessuno mi può giudicare" si vedono i prodromi della ben più paracula formula dei BlueBeaters, ma con un livello di cazzoneria inarrivabile.
I misteriosi OFF-SET seguono a ruota con un brano di elettronica assurdista e giocattolosa, erede dei Devo come dei Residents: nessuna nota infatti sugli elementi coinvolti in questo “ghosting” musicale. Troncati col machete, sono l'introduzione al brano-feticcio dell’ album, ovvero "Lucy’s First Appointment" della Monofonic Orchestra aka Maurizio Marsico.
Il pezzo è basato su un arpeggio rock'n'roll al pianoforte, sul quale si adagia una frase rubata a un jazzista che gli espertoni dovranno indovinare, ma che vi dico io qua visto che siete lenti: trattasi di "Cool Blues" di Charlie Parker, trasformata in un pattern a incastro. Completano il tutto una drum machine e uno snare di quelli fastidiosissimi. La struttura del pezzo è ispirata agli esperimenti eretici di Lennie Tristano, il primo a usare l’overdub nel jazz fottendosene dei puristi.
Dal jazz smontato si passa al blues rock elettrico, con gli Stumblers che si cimentano in una cover fracicona del classico "Last Clean Shirt", che probabilmente è la cosa più normale di questo disco. A terminarlo è infatti la traccia "Automatic Guitar" di Roberto Masotti, il designer della copertina, dedicata nientepopodimenoche a Pete Cosey, mitico chitarrista del periodo elettrico fine settanta di Miles Davis.
Quattro minuti e trenta di chitarra noise/no wave martoriata sulla base di una specie di assurdo maranzano sintetico bucacervello ottenuto non si sa come. Siamo di fronte a un must che supera il tempo e lo spazio. D’altronde nel 2011 uscì un libro dallo stesso titolo, opera proprio del succitato Luca Majer, dove questi due elementi erano gettati come palline contro al muro, con tanto di “colonna sonora” contenuta in un CD che di questo disco può essere considerato una vera e propria appendice.
Dai solchi di Matita Emostatica escono i fumi di una Milano delirante, più da pere che da bere, che si opponeva alla qualità della vita in superficie e tirava fuori l'immondizia da sotto il suo tappeto senza paura di scontri frontali. È che a volte la qualità di una città non sta tanto nella vita, quanto nella morte di quelli che ne hanno fatto la storia. Come dice Al Aprile, "si tratta di cambiare semplicemente punto d’osservazione. Dimensione. Si è sempre ascoltata una sola faccia della rock'n'roll music e le possibilità di rovesciare il suono appaiono d’un tratto inaspettate”. Che si possa fare la stessa cosa oggi con Milano?


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Oggi si definisce a cappella ogni esibizione sonora che non prevede l'intervento da parte di strumenti musicali, ammettendo tuttavia la lavorazione del suono mediante strumenti tecnologici nella musica moderna. In passato il termine si riferiva anche ad esecuzioni vocali con accompagnamento, in cui gli strumenti si limitavano a rafforzare le voci raddoppiandone le linee senza aggiungere nuove linee musicali. Il caso più frequente era quello del raddoppio realizzato con l'organo.

Storia
La pratica del canto a cappella ha origini che risalgono alla preistoria, quando gli uomini e le donne dei villaggi si riunivano attorno al fuoco per cantare musiche propiziatorie o di ringraziamento per le divinità o di altro genere.
Il canto a cappella trae le sue origini dalla prassi esecutiva del canto gregoriano che, non prevedendo l'ausilio né dell'organo né di alcun altro strumento, era eseguito dalle sole voci dei monaci o dei chierici che costituivano il gruppo di cantori, chiamato schola cantorum.
Alla schola cantorum veniva affidato il ruolo di guida dell'assemblea, per questa ragione i cantori spesso scendevano dal presbiterio e si ponevano a cantare in una cappella laterale della chiesa, da cui l'origine del nome.
A cappella è gran parte della musica corale concepita per essere svolta da gruppi vocali o da cori polifonici.
La produzione di musica a cappella non è solamente sacra, ma spazia dal canto popolare, alla produzione madrigalistica alle elaborazioni di musica jazz e pop; in tal senso attualmente i vertici interpretativi a livello mondiale sono rappresentati da gruppi come i Golden Gate Quartet, King's Singers, The Chanticleer, The Swingle Singers, The Real Group, DR VokalEnsemblet, [Rajaton], Perpetuum Jazzile, Take Six, Calmus Ensemble e molti altri, in un panorama attualmente in forte espansione. Negli ultimi anni grande successo hanno riscosso anche i Pentatonix, vincitori della terza stagione del talent show americano The Sing-Off. Il primo brano a cappella a raggiungere la posizione nº 1 nella classifica statunitense è stata la celeberrima Don't Worry, Be Happy di Bobby McFerrin nel 1988. In territorio italiano vi sono gruppi di levatura internazionale e curriculum consolidato come i Neri per Caso, gli Alti & Bassi, Cluster, i Mezzotono. Nel panorama nazionale si situano molti altri gruppi con repertori che complessivamente abbracciano un arco temporale molto vasto, dalla musica rinascimentale fino ai nostri giorni: The Acappella Swingers, l'Anonima Armonisti, gli Alter Ego, i Blue Penguin, i Domino Vocal Group, i L'Una e Cinque, i Maybe6ix, i Mezzo Sotto, gli Occhi Chiusi In Mare Aperto, i Quattrottave, The Ring Around Quartet, i Rebel Bit, i SeiOttavi, i Sinacria Symphony, gli Spritz for Five, i Venice Vocal Jam, i Vocalica, i Vocal Cocktail, i Voceversa, i Van Canto e tanti ancora.
Alcune produzioni artistiche recenti prevedono l'uso di strumenti ausiliari e/o contaminazioni elettro-acustiche che tendono a forzare il significato del termine "a cappella". Secondo alcuni, queste produzioni entrano a far parte di categorie le cui espressività e tecnica esulano dal contesto prettamente vocale, essendo del tutto differenti gli effetti e la ricerca delle soluzioni espressive. Ad esempio il gruppo tedesco Van Canto, definisce il proprio stile "Hero Metal A Cappella", nonostante all'interno della formazione sia presente anche una batteria.
Nella musica elettronica le produzioni a cappella sono fondamentali per la creazione di remix, ovvero versioni alternative dello stesso brano.


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La tecnica del canto è quell'insieme di accorgimenti, appresi con l'allenamento e lo studio, necessari ai cantanti per evitare danni alla laringe e per ottenere al contempo una voce timbricamente gradevole, potente e con un'ampia gamma cantabile, cioè un'estensione vocale dalla nota più bassa alla più alta in cui il timbro sia omogeneo e l'intonazione corretta e stabile.
Tutti, più o meno, possono cantare una canzone. Molti di meno invece riescono a cantare più canzoni di seguito, anche semplici: dopo qualche minuto un cantante improvvisato comincerà a sentire mal di gola, e la sua voce inizierà a farsi rauca e sfiatata; se nonostante tutto continua a cantare, di lì a poco si ritrova afono, e corre il rischio di procurarsi un edema.
Questo accade perché, istintivamente, il cantore di cui sopra usa la sua voce come se parlasse. Ma l'uso della voce che si fa normalmente, sebbene sufficiente allo scopo di parlare, imporrebbe alla laringe delle sollecitazioni notevoli nel caso del canto: per poter cantare per ore senza danni, senza sforzo e con una voce sempre gradevole, il cantante deve adattare la sua voce in modo diverso, utilizzando particolari modalità di gestione della respirazione, dell'uso indiretto delle corde vocali, degli spazi presenti nella zona di risonanza posta tra laringe-faringe-labbra (vocal tract) che si apprendono attraverso lo studio, l'allenamento e l'auto-osservazione. Si parla quindi di un "accordo" di tipo "pneumofonico risonanziale" (pneumo=aria, fonico=corde vocali, risonanziale=vocal tract).
L'emissione sonora è basata sugli stessi organi, situati nella stessa zona del corpo umano, che funzionano nel medesimo modo in base agli stessi principi: ciò che varia è la modalità di gestione volontaria diretta o indiretta di tali organi.

La voce naturale
Il suono della voce nasce dalla vibrazione della corde vocali poste all'interno della laringe, provocata dal flusso d'aria emessa dai polmoni e la nota è stabilita dalla velocità di vibrazione determinata da proprietà fisiche delle corde vocali (lunghezza e spessore) variabili tramite l'azione di alcuni muscoli della gola. La regolazione è un fatto istintivo. Sempre istintivamente una persona usa, parlando, il minimo flusso d'aria necessario per far vibrare la propria laringe: la gestione della respirazione è quindi limitata a tale aspetto. Come studiato e dimostrato già da Giovan Battista de Lorenzi, i suoni umani sono generati dalle "corde vocali" ma trattare la voce esclusivamente come uno strumento a corda è un errore; qualunque di essa quando attraversata da un flusso d'aria non può emettere suoni del tipo umano. Si può quindi pensare alle corde vocali come uno strumento ad ancia "variabile" e vibrante come una corda.
Non è inoltre necessario porre alcun accorgimento al modo in cui il suono attraversa le zone del vocal tract poiché quanto appreso in prima infanzia per il parlato risulta sufficiente, se non sono presenti errori di fonazione che richiedono l'intervento di un logopedista.

La voce impostata
I cantanti, viceversa, hanno bisogno di usare la voce a lungo e a volume molto alto, anche se mai forzato: il meccanismo istintivo di fonazione, per loro, non è più sufficiente. Il sistema di fonazione usato nel canto classico (ma in parte anche nel teatro di prosa) è la cosiddetta impostazione o voce impostata: si tratta di sfruttare al meglio una o più delle cavità orofaringee, come cassa di risonanza secondo il principio sfruttato in molti strumenti musicali. Va inoltre gestita diversamente la respirazione e va curato il risultato ottenuto in base alla lunghezza della "frase musicale" e della note che si devono eseguire.
Per fare tutto ciò sono necessari due requisiti basilari:
  • sostenere durante il suono, in espirazione dai polmoni, un flusso d'aria continuo e maggiore del normale: da qui l'importanza fondamentale del controllo della respirazione e dei muscoli coinvolti (diaframma e muscoli addominali) e di tenere la cassa toracica il più possibile aperta, per espandere al massimo i polmoni;
  • imparare, con l'autosservazione e l'aiuto di un maestro, a modellare gola, palato, lingua e labbra per mantenere la risonanza al variare della nota che si sta cantando.
Posizione e apnea sono due elementi fondamentali e simultanei dello stesso processo che è il canto cosiddetto "sul fiato" o "appoggiato", tramite il quale la voce risulta, a chi ascolta, raccolta "in maschera", vale a dire con una risonanza atta ad ottenere il massimo volume con il minimo sforzo, e il suono sembra letteralmente "galleggiare". La giusta "posizione" si ottiene tramite un controllo mentale costante della sorgente sonora sulle corde, al fine di mantenere larga la gola, senza mai spostare il suono ad esempio avanti nel volto o nel naso (falso concetto di canto nella maschera), cose che comportano in realtà una risalita immediata del diaframma, una chiusura della gola, una contrazione muscolare, e che si verifica ad esempio quando si grida o si canta male, anche la musica leggera, o quando si produce un suono muto forzato nel naso.
L'apnea consente invece nel trattenere il fiato grazie al gioco della cintura muscolare costale e addominale, frenando la risalita del diaframma: attraverso l'azione simultanea di queste due spinte contrastanti, si realizza il perfetto "appoggio" del suono (vale a dire un suono emesso col controllo dell'espirazione). Le corde vocali entrano allora in vibrazione senza dispersione di fiato (laringe abbassata ma non in modo forzato e muscoli del collo rilassati, labbra raccolte per consentire il rilassamento della mandibola), lo stesso suono dà al cantante la sensazione di essere decisamente "sganciato" dalla zona della gola e "agganciato" alla maschera (fra gli occhi) per tutta la lunghezza della frase da cantare. È un'operazione delicata e lunga, spesso frutto di anni, che si raggiunge più con esercizi sul "piano" che sul "forte" o sul "mezzoforte". La giusta posizione e l'aggancio sul fiato permettono di rinforzare o diminuire l'intensità del suono sulla stessa apnea, senza mai spostare né l'apertura della gola né la risonanza "in maschera" (che sarà molto alta nella testa): è la cosiddetta messa di voce, vera prova del nove della voce correttamente impostata.
Si parla, per indicare lo stesso metodo, anche di "gola aperta", ma si tratta anche in questo caso di una terminologia gergale, che non corrisponde affatto a una banale apertura della gola tramite il fiato né in inspirazione né tantomeno in espirazione. Per "gola aperta" si intende invece l'emissione di un suono che, tramite la tecnica dell'appoggio, risuoni subito "in maschera" creando nella zona posteriore una "cavità": essa può essere raggiunta più facilmente con suoni "chiusi", prime fra tutte la vocale U, o addirittura con una U a bocca chiusa. È in quella stessa posizione vibratoria che poi andranno messe tutte le altre vocali, fino alla I, che sarà la vocale più adatta a far percepire invece la cosiddetta "punta" del suono, emessa però con la gola nella stessa posizione di U. Analogamente per gli acuti, il loro corretto raggiungimento, al fine di emettere suoni ricchi di armonici, morbidi, e se necessario in piano o in pianissimo, si ottiene mantenendo la stessa posizione mentre si sale, e facendo stirare maggiormente le corde col solo aiuto del meccanismo respiratorio costale-diaframmatico, senza far intervenire muscoli del collo o facciali. L'apertura lievemente più ampia in verticale della bocca sarà solo una conseguenza della maggiore ampiezza di suono interno, che induce a mollare la mandibola, ma non è affatto con la bocca più aperta che si ottiene l'acuto, bensì con una maggiore pressione e allargamento interno del suono sul fiato e sulla gola aperta.
Cantando con la voce impostata si avverte sempre una sensazione di vibrazione, che può variare a seconda della particolare cavità che sta risuonando: normalmente è localizzata alla radice del naso, ma può anche essere nella fronte per i suoni più acuti, oppure nel petto per le note più gravi. Si può anche sentire il suono "correre" lungo il palato e premere contro gli incisivi superiori. Viceversa, le corde vocali "scompaiono" quasi, e se la tecnica è corretta non si hanno sensazioni particolari a livello delle stesse, che sono molto poco sollecitate: anzi, capita spesso che dopo aver cantato mezz'ora o più con voce impostata ci si senta la gola perfettamente riposata e fresca, pronta a ricominciare. È anche per questo che i grandi cantanti d'opera, prima di uno spettacolo, cantano buona parte dell'opera chiusi nei loro camerini.

I registri della voce
Si definisce registro vocale l'insieme delle azioni muscolari e tendinee della laringe che inducono una specifica modalità di vibrazione delle corde vocali eseguita per l'emissione di un suono, nel caso, una nota. Difatti le corde vocali vibrano in maniera diversa ed assumono posizioni differenti in relazione alla frequenza della nota emessa. L'educazione vocale intende perfezionare l'utilizzo dei registri senza alcuno sforzo. Lo studio della tecnica del canto la completa con lo scopo dell'ottimizzazione dei registri durante l'esecuzione di una "frase musicale" congiuntamente ai concetti di posizione ed appoggio descritti poco sopra.
È diffusa la suddivisione dei registri in base alla idea di risonanza della nota cantata: tuttavia questa peculiarità acustica è legata più ad un principio fisico e non ha nulla a che vedere con la modalità di vibrazione delle corde vocali. La denominazione dei registri è storicamente legata alla parte del corpo che entra in risonanza durante il canto. La vibrazione delle corde vocali sarebbe inavvertibile senza un elemento che la facesse risuonare. Se risuona la cassa toracica o almeno il mediastino, in particolare durante l'esecuzione di note di frequenza bassa, la voce si dice in registro di petto; se risuona, per note maggiormente acute, solo nella gola, si dice in registro di gola (e viene evitata assolutamente durante il canto perché produce un suono debole, stridulo e poco gradevole); se risuona in testa sfruttandone le cavità (compresi i seni nasali e frontali), durante l'esecuzione di note molto acute, si dice in registro di testa.
Poiché le azioni di muscoli e tendini sono congiunte e continue sull'estensione vocale, esiste anche una modalità intermedia tra il registro di petto ed il registro di testa detta registro misto. L'uso di un registro piuttosto che di un altro é peculiare della nota e del cantante, oltre ad essere non intenzionale ma bensì del tutto automatico e naturale.
Particolare abilità serve per passare da un registro all'altro in modo non avvertibile (possibilmente evitando il registro di gola); l'esecuzione dei vocalizzi permette di esercitarsi in questa particolarità esecutiva.
Un cantante completo è in grado di sfruttare più di una cavità per impostare la voce, ottenendo in questo modo una gamma di suoni cantabili molto maggiore. Generalmente ad essere maggiormente sfruttate sono le tre cavità principali (trachea, orofaringe e rinofaringe): ma esistono cantanti particolarmente dotati in grado di sfruttarle tutte, fino a quelle più alte, i seni frontali, ed ottenere estensioni straordinarie anche di quattro ottave cantabili.

L'articolazione delle parole
Cambiando il sistema di emissione del suono, cambia anche il modo di articolare le parole. Come abbiamo visto, la voce impostata si basa sulla risonanza e su un flusso costante d'aria: perciò è semplice emettere le vocali (tranne la a, che essendo molto aperta rende difficile mantenere la risonanza) e relativamente semplice emettere le consonanti sonore (m, n, b, ...). Diventa invece problematica l'emissione delle consonanti sorde (t, f, p, ...): la pronuncia di queste consonanti implica infatti l'interruzione del flusso d'aria, che, se compiuta bruscamente come nella pronuncia normale, provoca un durissimo contraccolpo che rischia di danneggiare seriamente le corde vocali, le quali devono assorbire tutta l'energia accumulata nella cavità risonante (chiusa dall'altro lato dai denti e dalla lingua). Per questo la pronuncia delle consonanti sorde nel canto è in realtà una non pronuncia: per esempio la c si pronuncia alla toscana, come una specie di h; la t si elide, interrompendo l'emissione del suono per un attimo ma senza accostare la lingua ai denti; la r si pronuncia sempre all'italiana, mai alla francese. Una misura della bontà della tecnica di un cantante è quanto bene riesce a far capire il testo del pezzo mentre canta.

La tecnica del canto moderno
La tecnica fondamentale del canto è la stessa sia nel canto lirico che in quello moderno: essa insegna ad utilizzare correttamente ogni voce sfruttandone appieno le possibilità ma mantenendola sempre all'interno delle caratteristiche tipiche del suo registro, che ha particolari peculiarità timbriche, estensive e volumetriche, nonché di agilità. È molto importante quindi che il cantante scelga un repertorio adatto alla propria voce, e ciò al di là della possibilità di trasportare il brano nella tonalità più comoda o di variarne l'arrangiamento per adattarlo a sé. Ciò non deve generare confusione nella classificazione delle voci: la capacità di ciascuno di cantare facilmente le note gravi della sua estensione non deve affatto costringere la voce a muoversi solo nella zona grave e tanto meno indurre il cantante a scurirla forzatamente, perché questa pratica ne riduce progressivamente la capacità estensiva verso gli acuti (e nel tempo le corde vocali si ispessiscono, similmente a come avviene nei fumatori).
L'articolazione nello stile moderno risulta alquanto differente dalla lirica: l'amplificazione rende meno pressante l'esigenza di fornire potenza sonora, a tutto vantaggio dell'intelligibilità della parola affinché il messaggio arrivi più facilmente all'ascoltatore. Per questo la tecnica del canto moderno si differenzia da quella classica soprattutto nel passaggio di registro, perché si cerca di ritardare l'intervento del registro "di testa" e di sfruttare invece appieno il registro detto "di maschera": ciò avviene eliminando il meccanismo di copertura e sostituendolo da un'apertura, benché accompagnata dal corretto movimento laringo-faringeo (tecnica dello sbadiglio).
Uno dei punti più importanti riguarda l'attacco del suono, che, anche nello stile moderno, deve attuarsi dolcemente (anche se, in maniera sporadica e soprattutto non nella zona acuta — in cui le corde sono più sottili e quindi più vulnerabili —, sono accettati degli attacchi più incisivi), sempre nell'assoluto rispetto delle caratteristiche di robustezza di ogni laringe.
Il raclage (suono sporco) viene talvolta usato per questioni interpretative in alcuni passaggi delle canzoni di stile moderno, ma non bisogna mai dimenticare i rischi di un abuso di questa pratica (scorretta dal punto di vista tecnico) a livello delle corde vocali, per la possibile insorgenza di deformazioni del bordo cordale (noduli, polipi, ecc.); un aiuto per salvaguardarle è senz'altro quello di focalizzare l'attenzione sulla gola e sul suono durante e dopo questa pratica, perché il forte calore che si avverte è un segno tangibile del livello di attrito che stiamo producendo con lo sfregamento delle corde.
La tecnica vocale nel canto moderno quindi non intende spersonalizzare il cantante o stereotiparlo in uno stile vocale ricco di virtuosismi melodici di stampo afro-americano (gospel) o jazzistico, ma mira soprattutto a diffondere la cultura della voce e a salvaguardarla nel tempo, abbandonando modelli scorretti e andando alla ricerca di uno stile personale che rispetti e si adatti perfettamente allo strumento naturale con cui siamo nati.



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Il virelai è una forma di versi impiegata spesso nella poesia e musica medievale francese. È una delle tre forme fisse usate nel periodo; le altre erano la ballata e il rondeau. Era la forma più usata nel periodo che va dal XIII al XV secolo.
Il virelai è simile al rondeau. Ogni stanza ha due rime e la rima finale della prima stanza si lega alla prima rima della seconda. La struttura musicale risulta così AbbaA con la prima e l'ultima sezione che hanno le stesse liriche; questa è la stessa forma della ballata italiana.
Uno dei più famosi compositori di virelai è Guillaume de Machaut che scriveva sia la musica che i versi; 33 sue composizioni di virelai sono pervenute ai nostri giorni. Altri compositori di virelai sono stati Jehannot de l'Escurel uno dei primi e Guillaume Dufay uno degli ultimi.
Dalla metà del XV secolo questo tipo di composizione, assieme alla ballata e al rondeau, non fu più abbinato alla musica o le musiche di queste liriche non ci sono pervenute.

Esempio
Douce Dame Jolie di Guillaume de Machaut
Douce dame jolie,
Pour Dieu ne pensés mie
Que nulle ait signorie
Seur moy fors vous seulement.
Qu'adès sans tricherie
Chierie
Vous ay et humblement
Tous les jours de ma vie
Servie
Sans villain pensement.
Helas! et je mendie
D'esperance et d'aïe;
Dont ma joie est fenie,
Se pité ne vous en prent.
Douce dame jolie,
Pour Dieu ne pensés mie
Que nulle ait signorie
Seur moy fors vous seulement.


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La rapsodia è una composizione musicale a un solo movimento, di carattere molto libero e variegato. Il termine è di origine greca ed indicava la presentazione da parte di un rhapsoidos, cantore o narratore, della parte di un poema nel corso di una narrazione epica.


Forma stilistica
Non segue uno schema fisso, ma si presenta come un insieme di spunti melodici, anche molto diversi tra di loro per ritmo e armonia, che conferisce toni quasi improvvisativi alla composizione. Poiché si presenta come una sequenza di diversi episodi musicali, la rapsodia si presta facilmente ad avere un contesto tematico fisso, i cui molteplici aspetti sono presentati dai brani in essa contenuti. Da questo punto di vista la rapsodia si può considerare simile al poema musicale. Non è inusuale che la rapsodia abbia sfondo, o tema, patriottico.
Inventore di questa forma fu Franz Liszt, che diede ad essa un carattere perlopiù virtuosistico.