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Un cypherpunk è un attivista libertario che sostiene l'uso intensivo della crittografia informatica come parte di un percorso di cambiamento sociale e politico, ad esempio violando archivi riservati per rendere pubbliche alcune verità scomode. Originariamente i cypherpunk comunicavano attraverso una mailing list, in gruppi informali con l'intento di ottenere la privacy e la sicurezza informatica degli account personali, attraverso l'uso della crittografia, contro governi e gruppi economici. I cypherpunk sono organizzati in un movimento attivo dalla fine degli anni '80, con influenze della cultura punk. Esempio di attivismo cypherpunk è il sito Wikileaks di Julian Assange. Nel Manifesto Cypherpunk di Eric Hughes si legge tra l'altro che: «La privacy è necessaria per una società aperta nell'era digitale. Non possiamo aspettarci che i governi, le aziende o altre grandi organizzazioni senza volto ci concedano la privacy. Dobbiamo difendere la nostra privacy se ci aspettiamo qualcosa. I cypherpunk scrivono il codice. Sappiamo che qualcuno deve creare i software per difendere la privacy, e ... lo stiamo facendo».


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Guardare "Never Say Never", tre anni dopo che è stato girato rivela un sacco di cose tristi su Justin Bieber e sul patto col diavolo che ha firmato da giovanissimo, senza nemmeno saperlo.
Esattamente come milioni di ragazzine dagli otto ai sedici anni in tutto il mondo, ho guardato il documentario su Justin Bieber, Never Say Never. La sua première aveva tutta l’aria di un vero “evento televisivo”, fenomeno sempre più raro in un’epoca in cui l’alienante velocità con cui l’informazione ci gira attorno fa sì che nessuno si sincronizzi mai sulle stesse notizie. A parte questo, il documentario—girato circa tre anni fa—si pone come una sorta di capsula del tempo che isola uno specifico momento nella vita della più grande giovane popstar americana, facile quindi la messa a confronto con il piccolo uomo che è ormai diventato.
In quanto ibrido tra documentario e film-concerto, ambientato in un nulla culturale, Never Say Never è carino—come potrebbe fare schifo visto il budget e il brand di Bieber in gioco? - ma parla anche di un’amara verità sul Justin Bieber sedicenne, ovvero di come a quell’età così spaventosamente tenera, Bieber rimanga coinvolto in una vicenda Faustiana che lui stesso non si è ancora ben spiegato. Nel film viene costantemente seguito—da un vocal coach, dal suo manager, dalla madre, dalle schiere di giovani fan, dalle stesse telecamere. A un certo punto, il suo vocal coach si rivolge alla camera: “A volte Justin fa discorsi sul voler essere normale, e noi diciamo ‘Hai smesso di esserlo. Questa è la tua normalità’”. Avete mai pensato a quanto faccia cagare dire una cosa del genere a un sedicenne?
Justin Bieber entrò nella macchina del teen pop all’età di quattordici anni, prima che potesse effettivamente capire le conseguenze a lungo termine del diventare ricco e famoso. Arrivare ad avere la di fama di Justin Bieber è come entrare in una stanza dalla quale non si può più uscire. Never Say Never mostra un ragazzino incredibilmente talentuoso, che solo ora sta cominciando a rendersi conto delle difficoltà in cui si è messo da solo. Nonostante sia la star, è costantemente al lavoro per altri, che siano i fan o quelli che, all’apparenza suoi dipendenti e al servizio della sua “macchina”, gli controllano ogni singola mossa e si occupano di mercificare la sua persona al fine di tutelare il brand. Durante i tour è sempre accompagnato da adulti, gli unici momenti in cui interagisce con altri coetanei in vesti non professionali è quando torna al paese natio e si vede con i vecchi amici, risalenti al periodo pre-celebrità. Anche lì l’interazione è solo apparenza, forse addirittura tutta recitata.
In ogni caso Bieber fa un po’ lo stronzo con i suoi amici, deridendoli spietatamente per non essere bravi quanto lui a basket e vantandosi di aver incolpato il loro amico Nolan di aver rotto la zampa a un animale imbalsamato.
Pare che di recente Bieber si sia rivelato un coglione di prim’ordine, abbandonando scimmie in Germania, pisciando nei secchi, andando di matto se i suoi amici non riuscivano a entrare nei locali, e in generale comportandosi da impunito. Ma può davvero essere considerato una testa di cazzo quando Never Say Never ci dà uno scorcio di quella che è stata la sua adolescenza? Justin Bieber ha più a che fare con il protagonista di Ender’s Game di Orson Scott Card’s che con altre popstar prima di lui, realizzando le conseguenze delle sue azioni solo dopo aver estinto l’umanità intera. Ora che ha scoperto di essere solo un bullone di quel colossale macchinario chiamato “Justin Bieber”, non mi stupirei se si odiasse del tutto. Magari vorrebbe uscirne, ma ci sono troppi soldi da fare, troppe vite in ballo, troppa gente verrebbe delusa se lui si fermasse. Allora va avanti. Quando ho visto il suo live ho notato un chiaro senso di distacco nella sua esibizione, come fosse un fantoccio desideroso solo di superare lo spettacolo, montare sul suo autobus e riflettere.

Il Justin Bieber di Never Say Never era precoce; quello del 2013 sembra precocemente esaurito. Certo, milioni di ragazzine lo amano, ma vuole o ha davvero ancora bisogno di quell’amore? Bieber avrebbe bisogno di seguire l’esempio della collega/presunta nuova fiamma Miley Cyrus e registrare qualcosa in stile “We Can’t Stop”. Ciò che è bastato a Miley per sconvolgere la sua immagine originaria è stato un video di tre minuti e mezzo sbattuto in faccia al mondo con impunità. Justin può anche compiere un taglio morale del genere, ma l’unica mossa in grado di farlo crescere sarebbe il Justin Bieber di Never Say Never che si accorge di quanto lo spiccato senso del business, la superfama e il dover operare più per interesse altrui che per il proprio, siano tutte robe da dover mandare all’inferno.

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Noi non siamo nessuno per decidere chi è un genio, chi un idiota, chi macabramente matto o con chi non dobbiamo lasciare i nostri figli perché non gli venga avvelenato l’Estathè. Non siamo in grado. Però siamo sicuri che Micheal Zuk rientra in una di queste categorie. Almeno lo possiamo sospettare dopo aver letto un po’ sui suoi piani futuri, in particolare quelli che riguardano il VOLER CLONARE JOHN LENNON A PARTIRE DA UN DENTE CADUTO. Già.
Zuk, un dentista originario del Canada, ha trascorso diversi anni sfregandosi le mani, desideroso di portare a termine il suo progetto: prima ha sborsato 30,000 dollari per un vecchio dente del cazzo di John (eviteremo di commentare il fatto che l’ex Beatle abbia regalato il suo dente al suo vecchio padrone di casa).
Dopodiché, dato che il dente era talmente rovinato che se ne potevano trarre informazioni genetiche, è stato rimesso a nuovo e fortificato con quei metodi astrusissimi da film di fantascienza. Allora Zuk lo ha mandato a fare i relativi esami, in modo da sequenziare il DNA di Lennon, primo passo per poter clonarlo e farlo tornare tra i vivi.
“Essere partecipe del ritorno della stella più grande del rock sarebbe meraviglioso”, ha detto questo fuori di testa al The Guardian, solo per riservarci un altro paio di sorprese in più: sta già vendendo le copie del dente del Bitol, ha registrato un sottilissima parodia intitolata “Love Me Tooth” e, per tenerci aggiornati sui suoi avanzamenti, ha aperto un sito dal criptico nome “John Lennon Tooth”.



Freddie Mercury ha cambiato il suo nome?
Sì. La vera storia di Bohemian Rhapsody rivela che è nato con il nome Farrokh Bulsara il 5 settembre 1946 a Stone Town, Sultanato di Zanzibar (ora Tanzania) nell'Africa orientale. Ha iniziato a farsi chiamare "Freddie" mentre frequentava la St. Peter's School, un collegio in stile britannico vicino a Bombay (ora Mumbai). Fu solo quando fondò la band Queen nella primavera del 1970 che decise di cambiare anche il suo cognome, passando da "Bulsara" a "Mercury". Sul certificato di nascita di Freddie, i suoi genitori indicarono la loro nazionalità come "indiano britannico" e come razza hanno messo "Parsi", un gruppo etnico radicato in Persia.

Freddie Mercury (a sinistra) nel 1977 e l'attore Rami Malek come Mercury nel film Bohemian Rhapsody.

Quando è arrivato Freddie Mercury nel Regno Unito?
Freddie si è laureato nel collegio a St. Peters quando aveva 16 anni ed è tornato dalla sua famiglia a Zanzibar. Il paese ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel dicembre del 1963. Un mese dopo iniziò la sanguinosa Rivoluzione di Zanzibar, che provocò la morte di migliaia di indiani e arabi. I disordini politici nel paese hanno messo in pericolo la famiglia di Freddie e sono fuggiti nel Regno Unito. Nei mesi seguenti, Freddie si iscrisse al Politecnico di Isleworth (ora West Thames College), laureandosi in arte. Il primo filmato noto di Freddie Mercury è stato realizzato durante il suo primo anno al college. Si è laureato in arte e graphic design presso l'Ealing Art College di Londra. In Inghilterra, il gusto di Freddie per la musica si è espanso dalla musica indiana a cui è stato esposto per crescere, per includere la musica rock and roll dell'epoca. È stato influenzato da numerose band, in particolare Elvis Presley, The Who, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e The Rolling Stones. Ha anche citato Liza Minnelli come influenza, in particolare la sua performance vincitrice dell'Oscar nel Cabaret.

Quando Freddie Mercury ha iniziato a esibirsi per un pubblico pagante?
Sebbene sia stato in una band chiamata The Hectics mentre era alle elementari, la sua prima esibizione di fronte a un pubblico pagante fu il 23 agosto 1969 come cantante per la band Ibex, che stava cercando un cantante. Freddie ha cantato "Jailhouse Rock" di Elvis Presley. I futuri membri della band dei Queen, si unirono agli Ibex sul palco. Questo ha segnato i primi passi verso la nascita dei Queen. Freddie convinse gli altri membri degli Ibex a cambiare il nome della band in Wreckage. Non molto tempo dopo, la band iniziò a crollare a causa di obblighi esterni da parte dei membri, incluso il college, i lavori diurni e il batterista che si trasferì in America.

Il vero Freddy Mercury (a sinistra) alimenta l'atmosfera elettrica di Live Aid nel 1985. Rami Malek ricrea la passione di Mercury per le esibizioni nel film del 2018.

In che modo Freddie Mercury ha incontrato i compagni di band Brian May e Roger Taylor?
Il film immagina la formazione dei Queen e la rende molto più semplice di quanto non sia stata nella vita reale. Nel film, Freddie Mercury si imbatte in un'esibizione del 1970 di Brian May e la band Smile di Roger Taylor, che ha preceduto i Queen. Mercury si incontra con May e Taylor dopo lo spettacolo, per coincidenza subito dopo l'abbandono del loro bassista / cantante Tim Staffell. All'inizio sono scettici su Mercury, ma li conquista quando improvvisa un'interpretazione della loro canzone "Doing Alright".
Nel rispondere alla domanda "Quanto è preciso Bohemian Rhapsody?" abbiamo appreso che Mercury ha effettivamente incontrato i suoi futuri compagni di band in modo meno spontaneo mentre frequentava l'Ealing Art College di Londra. Mentre era lì, fece amicizia con Tim Staffell, che allora faceva parte della band Smile con il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor. All'epoca May aveva frequentato l'Imperial College di Londra e aveva lavorato al suo dottorato di ricerca in astrofisica. Taylor stava davvero studiando per diventare un dentista. Mercury divenne un fan della band Smile e conobbe May e Taylor. Brian May ricorda che Mercury li ha importunati per farlo diventare membro, ma hanno resistito fino a quando Tim Staffell ha lasciato la band nel 1970.

Freddie Mercury ha incontrato la fidanzata Mary Austin la stessa notte in cui si è unito alla band?
No. Il film Bohemian Rhapsody vede Freddie incontrare la sua futura fidanzata Mary Austin poco prima del suo primo incontro con Brian May e Roger Taylor, a quel punto diventa un membro della band. Questa è una divergenza dalla storia vera. In realtà, Brian May era uscito per un breve periodo con Mary Austin. Freddie non si interessò a lei fino a quando non fu il cantante principale della band.

John Deacon era il bassista originale della band?
Il controllo dei fatti di Bohemian Rhapsody conferma che Freddie Mercury era noto per avere un occhio per i dettagli ed essere un perfezionista. Nel maggio 1970, il suo desiderio di creare la band perfetta aveva contribuito alla scomparsa dei primi due gruppi in cui si trovava. Fu in quel periodo che Smile, la band di Brian May e Roger Taylor, perse il membro Tim Staffell, che se ne andò per unirsi alla band Humpy Bong. Freddie salì a bordo e persuase i membri rimanenti a cambiare il nome della band in Queen. Reclutarono John Deacon per suonare il basso, ma non fino al 1971. Non era il bassista originale della band come nel film, né suonò al primo concerto dei Queen nel 1970. In realtà era il quarto bassista che provarono.

Il personaggio di Mike Myers, dirigente discografico Ray Foster, è basato su una persona reale?
No. Mike Myers interpreta Ray Foster, un dirigente dell'etichetta discografica EMI. Il personaggio è immaginario. Non abbiamo trovato prove di un Ray Foster nella vita reale mentre cercavamo la vera storia di Bohemian Rhapsody. Nella migliore delle ipotesi, è vagamente basato sul capo dell'IME Roy Featherstone, ma a differenza di Foster nel film, Featherstone era un grande fan dei Queen. Tuttavia, si è lamentato del fatto che la loro canzone "Bohemian Rhapsody" era troppo lunga per essere pubblicata come singolo. Questa è l'unica somiglianza.

La band era a conoscenza dei molteplici significati del loro nome "Queen"?
Sì. "Aveva un grande potenziale visivo ed era aperto a tutti i tipi di interpretazioni", ha detto Mercury quando gli è stato chiesto delle origini del nome. "Ero certamente a conoscenza delle connotazioni gay, ma era solo una delle sue sfaccettature".

Freddie Mercury aveva quattro denti in più nella parte posteriore della sua bocca?
Sì. Questo è vero ed è il motivo per cui i suoi denti anteriori sporgevano, una caratteristica che ha alimentato una vita di insicurezza. credendo che i denti extra stendessero il suo palato e lo aiutassero a dargli il suono. Durante gli anni '70 e '80, Freddie portò i Queen a una serie di canzoni di successo, molte delle quali compose, tra cui 10 dei 17 nel loro album dei Greatest Hits. Questo include il loro più grande successo, "Bohemian Rhapsody", da cui prende il nome il film.

Il vero Freddie Mercury (a sinistra) canta "Bohemian Rhapsody" al Live Aid nel 1985. Rami Malek offre una ricostruzione accurata del momento per il film.

Il primo album dei Queen è stato un successo?
Non esattamente. Anche se il loro omonimo album del 1973 Queen li mise sulla mappa di registrazione, non ottenne il plauso della critica e la sua ricezione fu in gran parte attenuata. L'album non ha aiutato la band a decollare come avevano sperato. Dopo aver accettato un concerto all'Hammersmith Odeon di Londra come atto di apertura per i rocker Mott the Hoople, i Queen hanno usato le scene teatrali sul palco per aiutare ad aumentare il loro profilo pubblico, in particolare i costumi stravaganti di Freddie Mercury e le performance esagerate. A poco a poco divenne chiaro che non erano più solo una band di supporto. La loro etichetta, EMI, se ne accorse e la band registrò il loro secondo album, Queen II, che fu pubblicato nel marzo 1974. Fu un grande successo su entrambe le sponde dell'Atlantico. Il loro terzo album, Sheer Heart Attack, fu pubblicato nel novembre dello stesso anno e conteneva il singolo di successo "Killer Queen". Per ascoltare tutti i loro successi, dai un'occhiata all'album Queen Greatest Hits.

Freddie Mercury e Mary Austin erano fidanzati?
Sì. Durante i diversi anni in cui Freddie e Mary vissero insieme negli anni '70, si propose a Mary e ad un certo punto si fidanzarono per sposarsi.

Freddie Mercury ha mai avuto rapporti con le donne dopo aver fatto i conti con la sua sessualità e averlo detto a Mary?
Sì. Nel film, Freddie di Rami Malek fa coming out a Mary (Lucy Boynton) e le dice che è bisessuale. Lei risponde dicendogli che è gay. Questo è abbastanza accurato nella vita reale, tranne per il fatto che il film non contesta mai l'affermazione di Mary. In realtà, Freddie ha sempre rifiutato di etichettarsi e ha continuato ad avere amanti sia maschili che femminili. L'attrice tedesca Barbara Valentin è stata un'amante femminile di spicco di Freddie.

I Queen hanno davvero rischiato con la loro canzone "Bohemian Rhapsody"?
Sì. Rilasciato come parte del loro quarto album in studio, A Night at the Opera (1975), la visione di "Bohemian Rhapsody" di Freddie Mercury fu ugualmente rischiosa nella vita reale. Per 5 minuti e 55 secondi, la canzone rock non convenzionale era lunga e rischiava di essere respinta dalle stazioni radio. Per raggiungere il maggior numero possibile di persone, hanno registrato un video appariscente e caleidoscopico per accompagnare la canzone. Si è rivelata una geniale strategia promozionale, ben prima dei giorni in cui è stata fatta regolarmente su MTV. Il video musicale di Bohemian Rhapsody ha contribuito a renderli superstar globali durante la notte e la canzone è rimasta al numero uno della UK Singles Chart per nove settimane.

Freddie Mercury amava davvero i gatti tanto quanto il personaggio nel film?
Sì. Il film è accurato nella rappresentazione dell'adorazione di Mercury per i gatti. Secondo il libro di memorie del suo assistente personale, Peter Freestone, avrebbe persino parlato con loro al telefono quando era assente, come mostrato nel film. Mercury ha posseduto un numero elevato di gatti per tutta la vita.

Freddie Mercury è rimasto davvero intimo amico della sua ex ragazza Mary Austin?
Sì. La vera storia di Bohemian Rhapsody sostiene che Freddie incontrò Mary Austin quando era un musicista alle prime armi. Si trasferirono insieme e lei lo sostenne per un po '. Era l'unica persona di cui si fidava. Rimasero amici anche dopo che si erano lasciati nel 1976 quando stava facendo i conti con la sua sessualità. Durante un'intervista del 1985, Freddie disse di Mary: "Tutti i miei amanti mi hanno chiesto perché non potevano sostituire Mary, ma è semplicemente impossibile. L'unica amica che ho è Mary, e non voglio nessun altro. Per me, era la mia moglie di diritto comune. Per me è stato un matrimonio. Crediamo l'uno nell'altro, è abbastanza per me".
Era l'unica persona di cui si fidava di più durante la sua carriera.
Mary è stata di conforto per Freddie anche durante i suoi ultimi anni. Lasciò a Mary la maggior parte della sua proprietà quando morì per complicazioni da AIDS nel 1991. Pensò che se avesse continuato a vivere come un uomo etero, si sarebbero sposati e avrebbero avuto una vita insieme. Lasciarle la sua eredità era il suo modo di riconoscere che, oltre al fatto che era rimasta una vera amica nel bene e nel male. Mary Austin vive ancora nella casa di Freddie a Kensington, in Inghilterra, con la sua famiglia.



I Queen si sono mai separati?
No. È qui che il film fa la sua più grande deviazione dalla verità. Nel film, vediamo la band contraria a Freddie per aver firmato un contratto da solista da $ 4 milioni alle loro spalle. Dice loro che vuole prendersi una pausa dalla band e se ne vanno tutti separati. La verità è molto meno drammatica. La band fu esaurita nel 1983, essendo stata in tournée per un decennio. Tutti concordarono di prendersi una pausa per concentrarsi sulle loro carriere soliste, ma rimasero in contatto, iniziando a lavorare a The Works più tardi quell'anno.

Freddie Mercury ha incontrato il fidanzato Jim Hutton quando Hutton era un domestico alla sua festa?
No. Un controllo del film Bohemian Rhapsody rivela che il partner di Freddie Mercury, Jim Hutton, era stato un parrucchiere in Irlanda prima di trasferirsi a Londra, dove aveva incontrato Mercury in un night club. Il film invece li vede riuniti in modo immaginario quando Hutton lavora come cameriere in una festa edonistica ospitata da Mercury. Nonostante Hutton lo respinga, parlano fino a tarda notte. Nel film, si separano e Mercury rintraccia Hutton dopo averlo guardato in una rubrica anni dopo. In un'intervista che Hutton ha fatto con il Times of London, ha affermato di aver rifiutato Mercury dopo che Mercury si era offerto di offrirgli da bere in un locale notturno. Non aveva riconosciuto la superstar. Si videro di nuovo circa un anno e mezzo dopo, ancora una volta, in una discoteca. Mercury si offrì di nuovo di offrirgli da bere, e questa volta Hutton accettò.
In realtà, Hutton lavorava come parrucchiere al Savoy Hotel di Londra. La sua relazione di sette anni con Mercury era iniziata nel 1985 e rimasero insieme fino alla morte di Mercury nel novembre 1991. Dopo aver rivelato a Hutton di avere l'AIDS, Mercury gli disse che avrebbe capito se voleva andarsene. Hutton rispose: "Ti amo, Freddie, non vado da nessuna parte." Lo stesso Hutton è stato diagnosticato l'AIDS nel 1990 e gli ci è voluto un anno per dare la notizia a Mercury. Hutton non compare in primo piano nel film Bohemian Rhapsody perché il film si conclude con la performance Live Aid del 1985 dei Queen, avvenuta non molto tempo dopo l'inizio della sua relazione con Mercury.

L'esibizione dei Queen al concerto Live Aid del 1985 è stata davvero così grande come è stata pensata per essere nel film?
Sì e no. I Live Aid non sono stati una riunione per la band. Nella vita reale, avevano effettivamente pubblicato il loro album The Works all'inizio del 1984 ed erano stati in tournée in tutto il mondo. Sono stati ben provati quando si sono esibiti al Live Aid.
Nonostante la storia personale della band sia meno drammatica nella vita reale, la loro esibizione al Live Aid è stata altrettanto impressionante come nel film, se non di più. I 20 minuti dei Queen al concerto dal vivo del 13 luglio 1985, tenutosi al Wembley Stadium di Londra, in Inghilterra, sono considerati da molte importanti pubblicazioni musicali una delle più grandi esibizioni rock di tutti i tempi. I giornalisti di Rolling Stone, della BBC, di The Telegraph, di MTV e della CNN hanno dichiarato che i Queen hanno rapito la folla, che è stato visto da una folla di 72.000 e un pubblico televisivo di 1,9 miliardi, il più grande di sempre fino a quel momento. Freddie Mercury dominava il pubblico.

Il manager personale di Freddie Mercury, Paul Prenter, lo ha tradito?
Sì. Nella vita reale, Paul Prenter (interpretato da Allen Leech nel film) ha lavorato come manager personale di Freddie Mercury dal 1977 al 1986. È vero che agli altri membri dei Queen non piaceva, definendolo una "cattiva influenza". Fu licenziato da Mercury per aver venduto le informazioni personali del cantante ai giornali del Regno Unito (non per non aver detto a Mercury del Live Aid). Ciò includeva informazioni sulla loro relazione con e fuori e lo stile di vita del cantante come un uomo gay, notando come gli ex amanti di Mercury stavano morendo di AIDS. A differenza del film, non ha mai esposto la vita privata di Mercury in un'intervista televisiva, solo in stampa. Inoltre, il suo licenziamento non è avvenuto prima del Live Aid. Accadde l'anno successivo nel 1986. Lo stesso Prenter morì per complicazioni legate all'AIDS nell'agosto 1991, appena tre mesi prima che Mercury morisse per la malattia.

Quando è stato diagnosticato l'AIDS a Freddie Mercury?
È opinione diffusa che a Freddie sia stato diagnosticato l'AIDS nel 1987, due anni dopo il Live Aid. Il film lo racconta alla band durante le prove di Live Aid nel 1985. Questo è stato aggiunto per effetti drammatici e quasi certamente non è vero. Ha rilasciato la sua ultima intervista filmata nel 1987, ma non ha menzionato nulla della malattia. Ha rivelato la verità alla sua famiglia e agli amici intimi nel 1989. Non ha riconosciuto pubblicamente di avere la malattia a trasmissione sessuale fino a quando non ha rilasciato una dichiarazione ufficiale il 23 novembre 1991, il giorno prima della sua morte. Legge:
Dopo l'enorme congettura della stampa nelle ultime due settimane, desidero confermare che sono stato testato per l'HIV e ho l'AIDS.
Ho ritenuto corretto mantenere queste informazioni private fino ad oggi al fine di proteggere la privacy di coloro che mi circondavano.
Tuttavia, è giunto il momento per i miei amici e fan di tutto il mondo di conoscere la verità e spero che tutti si uniranno a me, ai miei dottori e a tutti quelli di tutto il mondo nella lotta contro questa terribile malattia.
Si ritiene che abbia contratto il virus attraverso incontri sessuali che ha avuto come uomo gay.

Freddie Mercury ha registrato un album di duetti con un cantante d'opera?
Sì. Questo è successo due anni dopo gli eventi narrati nel film. Dopo aver visto il soprano operistico Montserrat Caballé dal vivo, la incontrò e la coppia decise di registrare un album insieme, Barcellona del 1987. L'album era indipendente dai Queen e conteneva il singolo "Barcelona", che in seguito apparve su Queen's Greatest Hits III. Nell'ottobre del 1988, Freddie si recò in Spagna per eseguire tre canzoni con Caballé. È stato annunciato come una delle sue più grandi esibizioni. Sarebbe stata anche l'ultima.

Quanti album ha creato Freddie Mercury con i Queen?
Durante i due decenni dal 1970 al 1990, Freddie Mercury aiutò a guidare i Queen in 18 album e dozzine di canzoni di successo.

I membri della band sopravvissuti sono stati coinvolti nella realizzazione del film?
Sì. I compagni di band dei Queen, Brian May e Roger Taylor, hanno trascorso otto anni nel tentativo di realizzare il film biografico. "Siamo molto consapevoli di avere una opportunità sola, e se non lo facciamo, qualcun altro lo farà male", ha detto May in un'intervista con TeamRock. "Lo faremo senza evitare nulla - qualsiasi aspetto di Freddie. Ma cercheremo di mantenere tutto in equilibrio. Penso che se lo faremo correttamente cristallizzerà il modo in cui il mondo comprende Freddie."
Nel 2010, l'attore comico Sasha Baron Cohen è stato assegnato al ruolo di Freddie Mercury, ma nel 2013 si è allontanato dal progetto per dispute creative con May e Taylor. Il regista Bryan Singer è stato licenziato nel dicembre 2017 per diversi giorni mancati e un rapporto teso con l'attore principale Rami Malek. Dexter Fletcher (Eddie the Eagle) è stato coinvolto per completare il progetto.
Brian May e Roger Taylor hanno trascorso del tempo sul set, oltre al manager di lunga data Jim Beach e altri. Greg Brooks, l'archivista ufficiale della band, ha lavorato a stretto contatto con i registi per rendere il film il più preciso possibile. Ciò includeva dettagli come il tipo di calzini che indossava John Deacon.





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E poi devi telefonare a un numero e guidare fino alla stazione di rifornimento e aspettare comprando delle Rizla per combattere il panico… E poi guidi lungo tutta la M25 per diciassette volte… sempre esattamente diciassette volte… E poi ci arrivi, tutti quei tamarri, a migliaia, come bufali, un esercito di tute in acetato… Bè, le tute in acetato non erano ancora state inventate, ma, cioè… naturalmente, a quei tempi tutte le pasticche costavano 75 sterline, che valevano circa 8000 sterline di oggi, ma erano incredibili, ti portavano letteralmente nello spazio più profondo, mi ricordo che ero così stordito che sono volato via come un razzo e non potevo in alcun modo smettere di orbitare intorno alla Nebulosa del Granchio… Era anche molto più intimo: tipo quando Oakenfold ha messo un disco di Lil Louis per la prima volta e ci è sembrato che lo facesse girare direttamente sulla schiena del mio amico…
Il 1990 è stato uno di quegli anni in cui si pensa di poter rimanere giovani per sempre. I raver britannici non se l’erano mai passata così bene. Quelli che ora consideriamo cliché allora sembravano la cosa più fresca del momento. Tutti i domani iniziavano oggi. Nel momento in cui il Muro di Berlino era caduto e la polvere iniziava a posarsi sul Nuovo Ordine Mondiale, la parole d’ordine era ottimismo, la droga felice era la nuova religione e per un brevissimo istante gli hippie avevano smesso di farsi pisciare in testa dai barboni di passaggio ed erano diventati i veri fichi.
Sicuramente il Regno Unito era il centro nevralgico di tutto questo. Aveva definito il sentimento generale, il significato, di tutto. Ma, allo stesso tempo, non era l’unica nazione con la fissa del neon, quell’anno. Seimila miglia più a sud un gruppetto di ragazzini svalvolati, per una ragione o per l’altra, erano scesi giù a Cape Town, in Sud Africa. Durante gli anni successivi quei ragazzini sono riusciti a portare la cultura dei beat ripetitivi nel Continente Nero, in una nazione che stava riemergendo da un pantano culturale ben più profondo e denso di quello fatto di cliché, trench e cardigan che rappresentavano gli anni Ottanta della Thatcher.
“La nightlife sudafricana era una merda in quegli anni,” si lamenta Jesse Stagg, co-proprietario numero uno di Eden, “Era una combinazione di terribile pop anni Ottanta: Kylie, Jason, Boy George… e robaccia goth. I goth andavano alla grande qui. Oltretutto sembrava di essere rimasti incastrati negli anni Settanta. Andavano tantissimo i Doors.”
“Tutti erano in fissa con Armani e La Febbre del Sabato Sera. Davvero ‘cool’.” Carl Mason, l'altra metà di Eden, interviene, “Ero depresso. Avevo lasciato la mia vita fatta di feste in Inghilterra, per venire qui, e mi ricordo che a volte rimanevo bloccato a pensare: ‘Gesù, che cazzo mi è saltato in mente?’”
Diciamo che quel posto era un tantinello indietro. Questa, dopotutto, era una nazione in cui la televisione era arrivata soltanto nel 1978 perché il governo nazionalista pensava che avrebbe avuto un’influenza corruttiva. Nel Sud Africa del 1990, a causa del boicottaggio di Equity, per poter guardare Fawlty Towers bisognava contrabbandare gli episodi su videocassette registrate in casa. Quando non stavano ascoltando bootleg di Rodriguez o non erano coscritti nell’esercito per combattere guerre illegali in Angola, i giovani bianchi del Sud Africa amavano rilassarsi spassandosela dai due ai cinque anni indietro nel tempo rispetto al resto del pianeta.
Ma nel febbraio 1990 Nelson Mandela, appena rilasciato, si è affacciato a un balcone durante la Grand Parade di Cape Town e ha spiegato a tutti che stavano per diventare liberi e vivere meglio. Il cambiamento era nell’aria. Anche se non era ancora atterrato al suolo. Jesse e Carl si sono conosciuti in quello che era il centro della vita notturna di Cape Town: Idols, quello che voi chiamereste una "discoteca", piazzata in fondo a Shortmaket Street, che soddisfava i bisogni della sua clientela pseudo-sofisticata con paralumi pseudo-sofisticati, pavimenti in legno pacchiani e piena di palle stroboscopiche.
Il papà di Stagg era uno sceneggiatore che aveva ottenuto un grande successo. Era cresciuto a metà tra il Sud Africa e Los Angeles. Si ricorda di come registrasse una quantità industriale di hip-hop dalle radio americane per poi portarlo in Sud Africa ogni volta che veniva rimandato a casa. Il padre di Carl, dal canto suo, si era risposato ed era andato in Sud Africa per la luna di miele. Annebbiato dall’erba, si era in qualche modo dimenticato di tornare in Inghilterra e aveva iniziato a lavorare in un negozio di abbigliamento trendy in città.
Nel 1990, però, ha iniziato a rimpiangere amaramente la decisione. Era già stato un pezzo grosso della scena inglese e sosteneva anche di aver ospitato il "primo party di acid house all’aperto" nel suo grande prato inglese alle porte di Romford. Will Hutton, il loro terzo socio, conferma la storia: “Carl mi ha telefonato e mi ha chiesto se volessi mettere un paio di dischi alla sua festa. Sapevo che frequentava una scuola d’arte. Immaginavo che ci sarebbe stato solo qualche suo compagno di corso. Invece aveva montato due grandi tendoni, c'erano duemila persone lì sotto, e altre duemila che urlavano ai cancelli per poter entrare. Gli agenti anti-sommossa era tutti all’esterno e poi sono arrivati Boy George, Sade e Aswad. Stavano suonando Paul Oakenfold e Danny Rampling. Mi ricordo che ero piuttosto eccitato–forse avevo tirato giù un po’ troppe paste. Mi hanno presentato a Danny Rampling e allora mi sono avvicinato per stringergli la mano, ma l’ho mancato, e sono svenuto ai piedi di Boy George.”
Nonostante la bruttezza dell'Idols, tra i due si era creato un legame: Jesse ha spiegato che stava cercando un coinquilino e, in meno di una settimana, Carl ha traslocato da lui tutti i suoi possessi: un letto, una TV e una tavola da surf. I due hanno presto iniziato a promuovere feste fatte in casa usando il marchio UFO, che stava per Unlimited Freak Out, iniziando poi una serata settimanale al sabato sera chiamata Front, che si teneva in uno spazio squallido su Long Street, suonando un mix di acid house e hip-hop. “Erano questi i generi più comuni in quei giorni,” mi ha spiegato Stagg. “Quello che la gente si dimentica è che a quei tempi tutto si accavallava. Che ne fossero consapevoli o meno, la maggior parte degli artisti hip-hop dell’epoca aveva almeno una traccia house sui loro album.”
Mentre, etnicamente parlando, fino a poco tempo prima sapevi sempre dov'eri collocato, la Acid House ha rappresentato un punto di incontro fresco tra le tribù, nella terra di mezzo tra The Doors e Grandmaster Flash. Nel contesto sudafricano, con le leggi di segregazione ormai ignorate, tecnicamente ancora valide ma inapplicate, l’Acid House ha creato un territorio dove i ragazzini, divisi dai binari del treno che tenevano letteralmente separate le diverse etnie in cui era spaccata la città, potevano finalmente far balotta insieme.
Quindi è successo che, per trovare un DJ con un adeguato corredo di vinili super costosi e d’importazione, Stagg ha attraversato i binari, recandosi nella parte hip-hop della città. DJ Rozzano, "una delle prima persone a suonare house in Sud Africa," stando a quanto dice lui, era resident nell’unico club multi-razziale della città: The Base. “The Base era uno show pomeridiano,” spiega. “Perché per il modo in cui era costruita la città, la maggior parte dei non-bianchi viveva sul confine, quindi per colpa della distanza e della mancanza di trasporti pubblici doveva essere per forza al pomeriggio, per permettergli di tornare a casa.”
“Noi persone di colore abbiamo iniziato a entrare davvero in città solo in quel periodo.” Ricorda Rozzano. “Prima era illegale. Lo era ancora, tecnicamente. Ho incontrato Jesse lì. Mi ha sentito suonare e mi ha chiesto di suonare a qualche festa clandestina. Penso che il rapporto tra bianchi e neri fosse circa di 60 a 40. Il 40% erano neri e mulatti. Principalmente mulatti. Era una cosa nuova. Era esotico. Era il 1990. Mandela era appena uscito. È stata quella la prima ondata di club misti. Per noi, che eravamo abituati a ballare solo tra persone nere, era ancora piuttosto strano ballare insieme ai bianchi.”
Qualche mese più tardi, i ragazzi hanno toccato il loro punto di non ritorno con il World Peace Party. “Il volantino era il logo ‘peace’ degli hippy,” spiega Stagg, “ma qualche organizzazione cristiana locale ha iniziato a strappare i poster che avevamo appeso in giro per la città. Sostenevano che fossero satanici. Ecco la reazione di Cape Town. Allora siamo andati dalle stazioni radio e siamo stati al gioco. Abbiamo fatto delle dichiarazioni dicendo che queste persone erano degli attivisti anti-pace. Questa cosa ha iniziato a circolare come notizia. Ne abbiamo tratto un sacco di pubblicità gratuita…”
Attraversando i binari che dividevano la città per razze, quattromila persone si sono dirette in un magazzino di Paarden Eiland, una mini-Woodstock per gli standard di quel tempo. Alle dieci del mattino seguente, dopo che si erano tirati un bell’areosol di popper e sudore marcio (e dopo essere giunti all’amara conclusione che il loro terzo partner era scappato con tutto l’incasso), il duo si è convinto che la scena avesse raggiunto una massa critica. Hanno assunto una manciata dei loro amici come collaboratori, Stagg si è licenziato dal suo lavoro come pubblicitario, e in nemmeno 48 ore hanno messo insieme 100,000R (circa 50,000 euro di oggi), per aprire Eden, con una capienza di mille persone, costruito con l’obiettivo di essere un luogo d’incontro ai confini del centro, nella cornice di quella che un tempo doveva essere una fabbrica di gelati.
“Eravamo davvero–e vorrei questa notizia si spargesse nell’etere per vedere se c’è qualcun altro d’accordo–uno dei primi superclub di sempre,” dice Stagg, “Questo è successo tre anni prima di Cream e tutto il resto. Tutti organizzavano feste in ambienti poco originali. Ma Eden aveva un suo brand, un logo ben caratterizato e un insieme di valori che andavano oltre l’essere semplicemente uno spazio dove le persone potevano ballare.” Hanno interpretato l’idea di essere una festa di arte libera. Per esempio hanno appeso sopra la pista da ballo una balena gonfiabile gigante in una rete. I loro buttafuori erano vestiti di viola, e si comportavano bene con tutti, li chiamavano "Guardiani dell’Eden". Hanno stampato decalcomanie di bambini sui muri e hanno messo in loop video artistici su schermi giganteschi, includendo “It” il film Feminazi di Kenneth Anger: un’ora ben spesa di interviste a donne che parlano del pene dei loro mariti. L’unica parte visuale era questa sequenza di vari peni alti tre metri proiettati sulle pareti del club.
“Ci piaceva sederci dal lato opposto, per guardare la reazione della gente,” ricorda Stagg. “Le decorazioni omaggiavano l’Hacienda. Era una roba fruity-industrial. Le pareti erano tutte dipinte con diversi colori. Avevamo grandi colonne, dipinte d’argento. Grandi travi a croce al centro, c’erano anche grandi palle al 50 percento di polistirene, dipinte d’argento e incastrate nei muri così il locale sembrava si amalgamasse su se stesso. C’erano grafiche gialle attorno al dancefloor. Ma l’entrata era sul livello superiore, quindi per arrivare alla pista bisognava scendere una lunga rampa. Creava un certo effetto scendere lungo quella via. Era un’anticipazione, e potevi vedere le luci, annusare l’odore del fumo, e iniziare a sentire scorrere l’energia che veniva da là sotto. Una volta arrivati lì ci si sentiva al sicuro. Sembrava di essere nella pancia della bestia.”
“Era molto sperimentale,” ricorda Matthew Quinton. “Mi ricordo che, nel mezzo di “Little Fluffy Clouds” di The Orb, la musica si è fermata e tutte le luci si sono spente, e i colori sono cambiati in una singola e roteante luce blu–come quelle della polizia, ed è partito un loop di schiamazzi di delfini, di canti delle balene. Tutti stavano in silenzio. La gente ha interrotto i suoi viaggi interiori e si è guardata intorno, cercando gli occhi degli altri. Poi, gradualmente, uno alla volta, abbiamo iniziato a provare a ballare su questo nuovo suono, muovendoci l’uno con l’altro, finché si è creata quest’onda che si contorceva di corpi dolcemente ondeggianti. Era, cliché a parte, un posto di scoperta interiore. Era a metà tra un utero e un rave. Si mescolavano sensazioni di sicurezza e di pericolo in egual misura.”
Insomma, è in questo utero che i fautori del gusto di domani hanno avuto la loro gestazione. A quell’epoca era solo un sedicenne ma il futuro top dj e fondatore di Mutha FM Nick E Louder si ricorda dell’Eden come di un posto “piuttosto strano. Ha chiuso e poi riaperto, diventando ancora più strano… Le persone provavano ad esprimere loro stesse–era un delirio di colori chiari, arancioni fluorescenti–credo che imitassero quello che potevano vedere sulle riviste. Le ragazze erano solite fare body painting e a parte quello rimanere nude. Tu potevi sederti lì e stare a guardarle…”
Chavda ha aiutato a tirar su la successiva ondata di rave in Sud Africa, co-fondatore di Synergy, era solo diciottenne quando è inciampato per la prima volta nel loro utero arancione. “È stato davvero il più grande club che ci sia mai stato a Cape Town. Suonavano tutto quanto a 124bpm, perché è quella la velocità a cui batte il cuore di un bambino quando è nel grembo della mamma. E i loro volantini venivano dal futuro. Li facevano di qualsiasi cosa – perspex, mutandine, potevano rischiare spendendo molto perché erano sicuri che almeno una persona su due sarebbe andata alla festa.”
Naturalmente, dato che la scena a cui si rivolgeva era comunque ridotta e isolata, Eden mancava di molte delle amenità di corredo. I vestiti, per esempio. “Nulla che si potesse dire appropriato era disponibile all’epoca,” dice Quinton. “Quindi le persone erano solite farsi i loro vestiti. Poteva capitarti di andare a casa di qualcuno un sabato sera, e passare tre o quattro ore a creare il tuo outfit. Avevo una sarta di fiducia in Greenmarket Square che faceva tutti i miei. Ogni tre mesi circa mi dicevo ‘Bene, è tempo di un nuovo outfit…’ Non c’erano uniformi, nulla che potesse assomigliare a un dress code. Mi ricordo una volta che stavo andando in bagno e ho visto un tale vestito come una rana gigante uscirne fuori. C’erano persone che non ballavano nemmeno, andavano lì solo per indossare i loro abiti sadomaso. Mi è capitato spesso di andare al club dopo la spiaggia, con i miei short e una maglietta malconcia.”
E, almeno per un po’, anche qualcos’altro ha continuato a mancare. Will Hutton: “Sono venuto fuori dalla gigantesca scena acid house di Londra. Ma quando sono arrivato l’ecstasy non aveva ancora invaso Cape Town, e non l’ha fatto fino all’ultima parte della prima stagione. Ma c’era la stassa euforia che c’era a Londra. La gente si scatenava al massimo senza che ci fosse una forza chimica dietro. Mi ha lasciato piuttosto basito. Mi veniva sempre da chiedere ‘Bene, dov’è la droga?’ e le persone mi diceva tipo: ‘Ecco, non ne abbiamo…’ e io rispondevo, ‘Ok, che cazzo state facendo allora?’
Stagg: “Era molto difficile farsi di qualcosa all’inizio. Spesso bisognava arrangiarsi in altri modi. Gli acidi andavano un casino. E poi c’era qualcosa chiamato ‘Tonico Dimagrante Del Dr. Baxter’, che si poteva comprare in farmacia giù a Sea Point. Aveva scritto a chiare lettere: ‘ATTENZIONE: NON BERE DOPO LE 4PM’. Mi ricordo di esserci passato davanti un pomeriggio e aver visto una coda lunghissima di raver, già piuttosto magri a dire il vero, tutti in fila per fare scorta del loro tonico dimagrante…”
“La prima stagione non ha avuto niente a che vedere con l’Ecstasy,” spiega Quinton, “A quei tempi qualche volta ti capitavano dei colpi di fortuna e avevi un amico appena tornato da Londra che ne aveva nascosta un po’ nella valigia. Ma nella maggior parte dei casi bisognava arrangiarsi per gli acidi. Il consumo di droghe non avveniva così alla luce del sole. C’era certamente pochissima coca. Ma la seconda stagione…”
“Perché l’abbiamo chiamato Eden?” sogghigna Stagg, “perché volevamo che fosse un enorme paradiso dell'E…”
Ed è effettivamente diventato presto un gigantesco paradiso dell'Ecstasy. E quando le cose vanno così, finiscono presto un po’ alla Tony Wilson. All’inizio del ’93 il club era un’emorragia di soldi. Nella troppa fretta i due non si erano preoccupati granché di fogli e contratti. In realtà non c’era nessun contratto tra i vari partner. Alcuni erano sempre più ansiosi di avere un ritorno economico. Alcuni non andavano d’accordo con gli altri. Uno era stato rimpiazzato: a insaputa di tutti gli altri, era stato sostituito da un uomo d’affari israeliano, che nel suo bel vestito incarnava il perfetto gestore di club, ed è subentrato attivamente a coprire la sua quota di passività nel bilancio. “Un bel giorno siamo arrivati e ci hanno detto che avremmo avuto un nuovo socio – Shirek, penso si chiamasse così,” ricorda Carl, “è stato in quel momento che le cose hanno iniziato ad essere davvero strane, in realtà…” Il bordello che stava al piano sopra il loro edificio si era spostato, stanco per il continuo rumore. Quindi hanno ereditato tutto un piano di nuovi uffici: con quattro docce e due jacuzzi. La droga stava diventando sempre più facilmente disponibile. La droga stava diventando un problema.
È una storia che si è ripetuta un migliaio di volte, l’idealismo con cui era nato il progetto ha lasciato il passo all’egoismo. Alla fine, i soci hanno semplicemente staccato la spina. Se ne sono andati senza recuperare un centesimo. “Ma non è mai stata una questione di soldi, comunque,” considera Stagg, “si trattava di fare qualcosa di originale. Proprio l’altra notte ho mostrato il logo di Eden a questa ragazza, ed è letteralmente impazzita. Ci veniva sempre quando era una teenager. Ho incontrato persone a Los Angeles, Londra, ovunque, che erano clienti dell’Eden. Abbiamo aperto gli occhi a migliaia di persone su quello che stava succedendo nel mondo. Questa cosa è impagabile”