Un
cypherpunk
è un attivista libertario che sostiene l'uso intensivo della
crittografia informatica come parte di un percorso di cambiamento
sociale e politico, ad esempio violando archivi riservati per rendere
pubbliche alcune verità scomode. Originariamente i cypherpunk
comunicavano attraverso una mailing list, in gruppi informali con
l'intento di ottenere la privacy e la sicurezza informatica degli
account personali, attraverso l'uso della crittografia, contro
governi e gruppi economici. I cypherpunk sono organizzati in un
movimento attivo dalla fine degli anni '80, con influenze della
cultura punk. Esempio di attivismo cypherpunk è il sito Wikileaks di
Julian Assange. Nel Manifesto Cypherpunk
di Eric Hughes si legge tra l'altro che:
«La privacy è necessaria per
una società aperta nell'era digitale. Non possiamo aspettarci che i
governi, le aziende o altre grandi organizzazioni senza volto ci
concedano la privacy. Dobbiamo difendere la nostra privacy se ci
aspettiamo qualcosa. I cypherpunk scrivono il codice. Sappiamo che
qualcuno deve creare i software per difendere la privacy, e ... lo
stiamo facendo».
Guardare "Never Say Never",
tre anni dopo che è stato girato rivela un sacco di cose tristi su
Justin Bieber e sul patto col diavolo che ha firmato da giovanissimo,
senza nemmeno saperlo.
Esattamente come milioni di ragazzine
dagli otto ai sedici anni in tutto il mondo, ho guardato il
documentario su Justin Bieber, Never Say Never. La sua première
aveva tutta l’aria di un vero “evento televisivo”, fenomeno
sempre più raro in un’epoca in cui l’alienante velocità con cui
l’informazione ci gira attorno fa sì che nessuno si sincronizzi
mai sulle stesse notizie. A parte questo, il documentario—girato
circa tre anni fa—si pone come una sorta di capsula del tempo che
isola uno specifico momento nella vita della più grande giovane
popstar americana, facile quindi la messa a confronto con il piccolo
uomo che è ormai diventato.
In quanto ibrido tra documentario e
film-concerto, ambientato in un nulla culturale, Never Say Never è
carino—come potrebbe fare schifo visto il budget e il brand di
Bieber in gioco? - ma parla anche di un’amara verità sul Justin
Bieber sedicenne, ovvero di come a quell’età così spaventosamente
tenera, Bieber rimanga coinvolto in una vicenda Faustiana che lui
stesso non si è ancora ben spiegato. Nel film viene costantemente
seguito—da un vocal coach, dal suo manager, dalla madre, dalle
schiere di giovani fan, dalle stesse telecamere. A un certo punto, il
suo vocal coach si rivolge alla camera: “A volte Justin fa discorsi
sul voler essere normale, e noi diciamo ‘Hai smesso di esserlo.
Questa è la tua normalità’”. Avete mai pensato a quanto faccia
cagare dire una cosa del genere a un sedicenne?
Justin Bieber entrò nella macchina del
teen pop all’età di quattordici anni, prima che potesse
effettivamente capire le conseguenze a lungo termine del diventare
ricco e famoso. Arrivare ad avere la di fama di Justin Bieber è come
entrare in una stanza dalla quale non si può più uscire. Never Say
Never mostra un ragazzino incredibilmente talentuoso, che solo ora
sta cominciando a rendersi conto delle difficoltà in cui si è messo
da solo. Nonostante sia la star, è costantemente al lavoro per
altri, che siano i fan o quelli che, all’apparenza suoi dipendenti
e al servizio della sua “macchina”, gli controllano ogni singola
mossa e si occupano di mercificare la sua persona al fine di tutelare
il brand. Durante i tour è sempre accompagnato da adulti, gli unici
momenti in cui interagisce con altri coetanei in vesti non
professionali è quando torna al paese natio e si vede con i vecchi
amici, risalenti al periodo pre-celebrità. Anche lì l’interazione
è solo apparenza, forse addirittura tutta recitata.
In ogni caso Bieber fa un po’ lo
stronzo con i suoi amici, deridendoli spietatamente per non essere
bravi quanto lui a basket e vantandosi di aver incolpato il loro
amico Nolan di aver rotto la zampa a un animale imbalsamato.
Pare che di recente Bieber si sia
rivelato un coglione di prim’ordine, abbandonando scimmie in
Germania, pisciando nei secchi,
andando di matto se i suoi amici non riuscivano a entrare
nei locali, e in generale comportandosi da impunito.
Ma può davvero essere considerato una testa di cazzo quando
Never Say Never ci dà uno scorcio di quella che è stata la sua
adolescenza? Justin Bieber ha più a che fare con il protagonista di
Ender’s Game di Orson Scott Card’s che con altre popstar prima di
lui, realizzando le conseguenze delle sue azioni solo dopo aver
estinto l’umanità intera. Ora che ha scoperto di essere solo un
bullone di quel colossale macchinario chiamato “Justin Bieber”,
non mi stupirei se si odiasse del tutto. Magari vorrebbe uscirne, ma
ci sono troppi soldi da fare, troppe vite in ballo, troppa gente
verrebbe delusa se lui si fermasse. Allora va avanti. Quando ho visto
il suo live ho notato un chiaro senso di distacco nella sua
esibizione, come fosse un fantoccio desideroso solo di superare lo
spettacolo, montare sul suo autobus e riflettere.
Il Justin Bieber di Never Say Never era
precoce; quello del 2013 sembra precocemente esaurito. Certo, milioni
di ragazzine lo amano, ma vuole o ha davvero ancora bisogno di
quell’amore? Bieber avrebbe bisogno di seguire l’esempio della
collega/presunta nuova fiamma
Miley Cyrus e registrare qualcosa in stile “We Can’t
Stop”. Ciò che è bastato a Miley per sconvolgere la sua immagine
originaria è stato un video di tre minuti e mezzo sbattuto in faccia
al mondo con impunità. Justin può anche compiere un taglio morale
del genere, ma l’unica mossa in grado di farlo crescere sarebbe il
Justin Bieber di Never Say Never che si accorge di quanto lo spiccato
senso del business, la superfama e il dover operare più per
interesse altrui che per il proprio, siano tutte robe da dover
mandare all’inferno.
Noi non siamo nessuno per decidere chi
è un genio, chi un idiota, chi macabramente matto o con chi non
dobbiamo lasciare i nostri figli perché non gli venga avvelenato
l’Estathè. Non siamo in grado. Però siamo sicuri che Micheal Zuk
rientra in una di queste categorie. Almeno lo possiamo sospettare
dopo aver letto un po’ sui suoi piani futuri, in particolare quelli
che riguardano il VOLER CLONARE JOHN LENNON A PARTIRE DA UN DENTE
CADUTO. Già.
Zuk, un dentista originario del Canada,
ha trascorso diversi anni sfregandosi le mani, desideroso di portare
a termine il suo progetto: prima ha sborsato 30,000 dollari per un
vecchio dente del cazzo di John (eviteremo di commentare il fatto che
l’ex Beatle abbia regalato il suo dente al suo vecchio padrone di
casa).
Dopodiché, dato che il dente era
talmente rovinato che se ne potevano trarre informazioni genetiche, è
stato rimesso a nuovo e fortificato con quei metodi astrusissimi da
film di fantascienza. Allora Zuk lo ha mandato a fare i relativi
esami, in modo da sequenziare il DNA di Lennon, primo passo per poter
clonarlo e farlo tornare tra i vivi.
“Essere partecipe del ritorno della
stella più grande del rock sarebbe meraviglioso”, ha detto questo
fuori di testa al The Guardian, solo per riservarci un altro paio di
sorprese in più: sta già vendendo le copie del dente del Bitol, ha
registrato un sottilissima parodia intitolata “Love Me Tooth” e,
per tenerci aggiornati sui suoi avanzamenti, ha aperto un sito dal
criptico nome
“John Lennon Tooth”.
Freddie Mercury ha cambiato il suo
nome?
Sì. La vera storia di
Bohemian Rhapsody
rivela che
è nato con il nome Farrokh
Bulsara
il 5 settembre 1946 a Stone Town,
Sultanato di Zanzibar (ora Tanzania) nell'Africa orientale.
Ha iniziato a farsi chiamare
"Freddie" mentre frequentava la St. Peter's School,
un collegio in stile britannico
vicino a Bombay (ora Mumbai). Fu solo quando fondò la band Queen
nella primavera del 1970 che
decise di cambiare anche il suo
cognome, passando da "Bulsara" a "Mercury".
Sul certificato di nascita di
Freddie, i suoi genitori indicarono la loro nazionalità come
"indiano britannico" e come razza hanno messo "Parsi",
un gruppo etnico radicato in Persia.
Freddie Mercury (a
sinistra) nel 1977 e l'attore Rami Malek come Mercury nel film
Bohemian Rhapsody.
Quando è arrivato Freddie Mercury
nel Regno Unito?
Freddie si è laureato nel collegio a
St. Peters quando aveva 16 anni ed è tornato dalla sua famiglia a
Zanzibar. Il paese ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel
dicembre del 1963. Un mese dopo iniziò la sanguinosa Rivoluzione di
Zanzibar, che provocò la morte di migliaia di indiani e arabi. I
disordini politici nel paese hanno messo in pericolo la famiglia di
Freddie e sono fuggiti nel Regno Unito. Nei mesi seguenti, Freddie si
iscrisse al Politecnico di Isleworth (ora West Thames College),
laureandosi in arte. Il primo filmato noto di Freddie Mercury è
stato realizzato durante il suo primo anno al college. Si è laureato
in arte e graphic design presso l'Ealing Art College di Londra. In
Inghilterra, il gusto di Freddie per la musica si è espanso dalla
musica indiana a cui è stato esposto per crescere, per includere la
musica rock and roll dell'epoca. È stato influenzato da numerose
band, in particolare Elvis Presley, The Who, Jimi Hendrix, Led
Zeppelin e The Rolling Stones. Ha anche citato Liza Minnelli come
influenza, in particolare la sua performance vincitrice dell'Oscar
nel Cabaret.
Quando Freddie Mercury ha iniziato a
esibirsi per un pubblico pagante?
Sebbene sia stato in una band chiamata
The Hectics
mentre era alle elementari, la
sua prima esibizione di fronte a un pubblico pagante fu il 23 agosto
1969 come cantante per la band Ibex, che stava cercando un
cantante. Freddie ha cantato "Jailhouse
Rock"
di Elvis Presley. I futuri membri
della band dei Queen,
si unirono agli Ibex sul palco.
Questo ha segnato i primi passi verso la nascita dei Queen. Freddie
convinse gli altri membri degli Ibex a cambiare il nome della band in
Wreckage. Non molto tempo dopo, la band iniziò a crollare a causa di
obblighi esterni da parte dei membri, incluso il college, i lavori
diurni e il batterista
che si trasferì in America.
Il
vero Freddy Mercury (a sinistra) alimenta l'atmosfera elettrica di
Live Aid nel 1985. Rami Malek ricrea la passione di Mercury per le
esibizioni nel film del 2018.
In che modo Freddie Mercury ha
incontrato i compagni di band Brian May e Roger Taylor?
Il film immagina la formazione dei
Queen e la rende molto più semplice di quanto non sia stata nella
vita reale. Nel film, Freddie Mercury si imbatte in un'esibizione del
1970 di Brian May e la band Smile di Roger Taylor, che ha preceduto i
Queen. Mercury si incontra con May e Taylor dopo lo spettacolo, per
coincidenza subito dopo l'abbandono del loro bassista / cantante Tim
Staffell. All'inizio sono scettici su Mercury, ma li conquista quando
improvvisa un'interpretazione della loro canzone "Doing
Alright".
Nel rispondere alla domanda "Quanto
è preciso Bohemian Rhapsody?" abbiamo appreso che Mercury ha
effettivamente incontrato i suoi futuri compagni di band in modo meno
spontaneo mentre frequentava l'Ealing Art College di Londra. Mentre
era lì, fece amicizia con Tim Staffell, che allora faceva parte
della band Smile con il chitarrista Brian May e il batterista Roger
Taylor. All'epoca May aveva frequentato l'Imperial College di Londra
e aveva lavorato al suo dottorato di ricerca in astrofisica. Taylor
stava davvero studiando per diventare un dentista. Mercury divenne un
fan della band Smile e conobbe May e Taylor. Brian May ricorda che
Mercury li ha importunati per farlo diventare membro, ma hanno
resistito fino a quando Tim Staffell ha lasciato la band nel 1970.
Freddie Mercury ha incontrato la
fidanzata Mary Austin la stessa notte in cui si è unito alla band?
No. Il film Bohemian Rhapsody vede
Freddie incontrare la sua futura fidanzata Mary Austin poco prima del
suo primo incontro con Brian May e Roger Taylor, a quel punto diventa
un membro della band. Questa è una divergenza dalla storia vera. In
realtà, Brian May era uscito per un breve periodo con Mary Austin.
Freddie non si interessò a lei fino a quando non fu il cantante
principale della band.
John Deacon era il bassista
originale della band?
Il controllo dei fatti di
Bohemian Rhapsody
conferma che Freddie Mercury era noto
per avere un occhio per i dettagli ed essere un perfezionista. Nel
maggio 1970, il suo desiderio di creare la band perfetta aveva
contribuito alla scomparsa dei primi due gruppi in cui si trovava. Fu
in quel periodo che Smile, la band di Brian May e Roger Taylor, perse
il membro Tim Staffell, che se ne andò per unirsi alla band Humpy
Bong. Freddie salì a bordo e persuase i membri rimanenti a cambiare
il nome della band in Queen. Reclutarono John Deacon per suonare il
basso, ma non fino al 1971. Non era il bassista originale della band
come nel film, né suonò al primo concerto dei Queen nel 1970. In
realtà era il quarto bassista che provarono.
Il personaggio di Mike Myers,
dirigente discografico Ray Foster, è basato su una persona reale?
No. Mike Myers interpreta Ray Foster,
un dirigente dell'etichetta discografica EMI. Il personaggio è
immaginario. Non abbiamo trovato prove di un Ray Foster nella vita
reale mentre cercavamo la vera storia di
Bohemian Rhapsody. Nella
migliore delle ipotesi, è vagamente basato sul capo dell'IME Roy
Featherstone, ma a differenza di Foster nel film, Featherstone era un
grande fan dei Queen. Tuttavia, si è lamentato del fatto che la loro
canzone "Bohemian Rhapsody" era troppo lunga per essere
pubblicata come singolo. Questa è l'unica somiglianza.
La band era a conoscenza dei
molteplici significati del loro nome "Queen"?
Sì. "Aveva un grande
potenziale visivo ed era aperto a tutti i tipi di interpretazioni",
ha detto Mercury quando gli è stato chiesto delle origini del nome.
"Ero certamente a conoscenza delle connotazioni gay, ma era
solo una delle sue sfaccettature".
Freddie Mercury aveva quattro denti
in più nella parte posteriore della sua bocca?
Sì. Questo è vero ed è il motivo per
cui i suoi denti anteriori sporgevano, una caratteristica che ha
alimentato una vita di insicurezza. credendo che i denti extra
stendessero il suo palato e lo aiutassero a dargli il suono. Durante
gli anni '70 e '80, Freddie portò i Queen a una serie di canzoni di
successo, molte delle quali compose, tra cui 10 dei 17 nel loro album
dei Greatest Hits. Questo include il loro più grande successo,
"Bohemian Rhapsody", da cui prende il nome il film.
Il vero Freddie Mercury (a
sinistra) canta "Bohemian Rhapsody" al Live Aid nel 1985.
Rami Malek offre una ricostruzione accurata del momento per il film.
Il primo album dei Queen è stato un
successo?
Non esattamente. Anche se il loro
omonimo album del 1973 Queen li mise sulla mappa di registrazione,
non ottenne il plauso della critica e la sua ricezione fu in gran
parte attenuata. L'album non ha aiutato la band a decollare come
avevano sperato. Dopo aver accettato un concerto all'Hammersmith
Odeon di Londra come atto di apertura per i rocker Mott the Hoople, i
Queen hanno usato le scene teatrali sul palco
per aiutare ad aumentare il
loro profilo pubblico, in particolare i costumi stravaganti di
Freddie Mercury e le performance esagerate.
A poco a poco divenne chiaro che non
erano più solo una band
di supporto. La loro etichetta,
EMI, se ne accorse e la band registrò il loro secondo album, Queen
II, che fu pubblicato nel marzo 1974. Fu un grande successo su
entrambe le sponde dell'Atlantico. Il loro terzo album, Sheer Heart
Attack, fu pubblicato nel novembre dello stesso anno e conteneva il
singolo di successo "Killer Queen". Per ascoltare tutti i
loro successi, dai un'occhiata all'album Queen Greatest Hits.
Freddie Mercury e Mary Austin erano
fidanzati?
Sì. Durante i diversi anni in cui
Freddie e Mary vissero insieme negli anni '70, si propose a Mary e ad
un certo punto si fidanzarono per sposarsi.
Freddie Mercury ha mai avuto
rapporti con le donne dopo aver fatto i conti con la sua sessualità
e averlo detto a Mary?
Sì. Nel film, Freddie di Rami Malek fa
coming out a Mary (Lucy Boynton) e le dice che è bisessuale. Lei
risponde dicendogli che è gay. Questo è abbastanza accurato nella
vita reale, tranne per il fatto che il film non contesta mai
l'affermazione di Mary. In realtà, Freddie ha sempre rifiutato di
etichettarsi
e ha continuato ad avere amanti
sia maschili che femminili. L'attrice tedesca Barbara Valentin è
stata un'amante femminile di spicco di Freddie.
I Queen hanno davvero rischiato con
la loro canzone "Bohemian Rhapsody"?
Sì. Rilasciato come parte del loro
quarto album in studio, A Night at the Opera (1975), la visione di
"Bohemian Rhapsody" di Freddie Mercury fu ugualmente
rischiosa nella vita reale. Per 5 minuti e 55 secondi, la canzone
rock non convenzionale era lunga e rischiava di essere respinta dalle
stazioni radio. Per raggiungere il maggior numero possibile di
persone, hanno registrato un video appariscente e caleidoscopico per
accompagnare la canzone. Si è rivelata una geniale strategia
promozionale, ben prima dei giorni in cui è stata fatta regolarmente
su MTV. Il video musicale di Bohemian Rhapsody ha contribuito a
renderli superstar globali durante la notte e la canzone è rimasta
al numero uno della UK Singles Chart per nove settimane.
Freddie Mercury amava davvero i
gatti tanto quanto il personaggio nel film?
Sì. Il film è accurato nella
rappresentazione dell'adorazione di Mercury per i gatti. Secondo il
libro di memorie del suo assistente personale, Peter Freestone,
avrebbe persino parlato con loro al telefono quando era assente, come
mostrato nel film. Mercury ha posseduto un numero elevato di gatti
per tutta la vita.
Freddie Mercury è rimasto davvero
intimo amico della sua ex ragazza Mary Austin?
Sì. La vera storia di Bohemian
Rhapsody sostiene che Freddie incontrò Mary Austin quando era un
musicista alle prime armi. Si trasferirono insieme e lei lo sostenne
per un po '. Era l'unica persona di cui si fidava. Rimasero amici
anche dopo che si erano lasciati nel 1976 quando stava facendo i
conti con la sua sessualità. Durante un'intervista del 1985, Freddie
disse di Mary: "Tutti i miei amanti mi hanno chiesto perché
non potevano sostituire Mary, ma è semplicemente impossibile.
L'unica amica che ho è Mary, e non voglio nessun altro. Per me, era
la mia moglie di diritto comune. Per me è stato un matrimonio.
Crediamo l'uno nell'altro, è abbastanza per me".
Era l'unica persona di cui si fidava di
più durante la sua carriera.
Mary è stata di conforto per Freddie
anche durante i suoi ultimi anni. Lasciò a Mary la maggior parte
della sua proprietà quando morì per complicazioni da AIDS nel 1991.
Pensò che se avesse continuato a vivere come un uomo etero, si
sarebbero sposati e avrebbero avuto una vita insieme. Lasciarle la
sua eredità era il suo modo di riconoscere che, oltre al fatto che
era rimasta una vera amica nel bene e nel male. Mary Austin vive
ancora nella casa di Freddie a Kensington, in Inghilterra, con la sua
famiglia.
I Queen si sono mai separati?
No. È qui che il film fa la sua più
grande deviazione dalla verità. Nel film, vediamo la band contraria
a Freddie per aver firmato un contratto da solista da $ 4 milioni
alle loro spalle. Dice loro che vuole prendersi una pausa dalla band
e se ne vanno tutti separati. La verità è molto meno drammatica. La
band fu esaurita nel 1983, essendo stata in tournée per un decennio.
Tutti concordarono di prendersi una pausa per concentrarsi sulle loro
carriere soliste, ma rimasero in contatto, iniziando a lavorare a The
Works più tardi quell'anno.
Freddie Mercury ha incontrato il
fidanzato Jim Hutton quando Hutton era un domestico alla sua festa?
No. Un controllo del film Bohemian
Rhapsody rivela che il partner di Freddie Mercury, Jim Hutton, era
stato un parrucchiere in Irlanda prima di trasferirsi a Londra, dove
aveva incontrato Mercury in un night club. Il film invece li vede
riuniti in modo immaginario quando Hutton lavora come cameriere in
una festa edonistica ospitata da Mercury. Nonostante Hutton lo
respinga, parlano
fino a tarda notte. Nel film, si
separano e Mercury rintraccia Hutton dopo averlo guardato in una
rubrica anni dopo. In un'intervista che Hutton ha fatto con il Times
of London, ha affermato di aver rifiutato Mercury dopo che Mercury si
era offerto di offrirgli da bere in un locale notturno. Non aveva
riconosciuto la superstar. Si videro di nuovo circa un anno e mezzo
dopo, ancora una volta, in una discoteca. Mercury si offrì di nuovo
di offrirgli da bere, e questa volta Hutton accettò.
In realtà, Hutton lavorava come
parrucchiere al Savoy Hotel di Londra. La sua relazione di sette anni
con Mercury era iniziata nel 1985 e rimasero insieme fino alla morte
di Mercury nel novembre 1991. Dopo aver rivelato a Hutton di avere
l'AIDS, Mercury gli disse che avrebbe capito se voleva andarsene.
Hutton rispose: "Ti amo, Freddie, non vado da nessuna parte."
Lo stesso Hutton è stato diagnosticato l'AIDS nel 1990 e gli ci è
voluto un anno per dare la notizia a Mercury. Hutton non compare in
primo piano nel film Bohemian Rhapsody perché il film si conclude
con la performance Live Aid del 1985 dei
Queen, avvenuta non molto tempo
dopo l'inizio della sua relazione con Mercury.
L'esibizione dei Queen al concerto
Live Aid del 1985 è stata davvero così grande come è stata pensata
per essere nel film?
Sì e no. I Live Aid non sono stati una
riunione per la band. Nella vita reale, avevano effettivamente
pubblicato il loro album The Works all'inizio del 1984 ed erano stati
in tournée in tutto il mondo. Sono stati ben provati quando si sono
esibiti al Live Aid.
Nonostante la storia personale della
band sia meno drammatica nella vita reale, la loro esibizione al Live
Aid è stata altrettanto impressionante come nel film, se non di più.
I 20 minuti dei Queen al concerto dal vivo del 13 luglio 1985,
tenutosi al Wembley Stadium di Londra, in Inghilterra, sono
considerati da molte importanti pubblicazioni musicali una delle più
grandi esibizioni rock di tutti i tempi. I giornalisti di Rolling
Stone, della BBC, di The Telegraph, di MTV e della CNN hanno
dichiarato che i Queen hanno rapito la folla, che è stato visto da
una folla di 72.000 e un pubblico televisivo di 1,9 miliardi, il più
grande di sempre
fino a quel momento. Freddie
Mercury dominava il pubblico.
Il manager personale di Freddie
Mercury, Paul Prenter, lo ha tradito?
Sì. Nella vita reale, Paul Prenter
(interpretato da Allen Leech nel film) ha lavorato come manager
personale di Freddie Mercury dal 1977 al 1986. È vero che agli altri
membri dei Queen non piaceva, definendolo una "cattiva
influenza". Fu licenziato da Mercury per aver venduto le
informazioni personali del cantante ai giornali del Regno Unito (non
per non aver detto a Mercury del Live Aid). Ciò includeva
informazioni sulla loro relazione con e fuori e lo stile di vita del
cantante come un uomo gay, notando come gli ex amanti di Mercury
stavano morendo di AIDS. A differenza del film, non ha mai esposto la
vita privata di Mercury in un'intervista televisiva, solo in stampa.
Inoltre, il suo licenziamento non è avvenuto prima del Live Aid.
Accadde l'anno successivo nel 1986. Lo stesso Prenter morì per
complicazioni legate all'AIDS nell'agosto 1991, appena tre mesi prima
che Mercury morisse per la malattia.
Quando è stato diagnosticato l'AIDS
a Freddie Mercury?
È opinione diffusa che a Freddie sia
stato diagnosticato l'AIDS nel 1987, due anni dopo il Live Aid. Il
film lo racconta alla band durante le prove di Live Aid nel 1985.
Questo è stato aggiunto per effetti drammatici e quasi certamente
non è vero. Ha rilasciato la sua ultima intervista filmata nel 1987,
ma non ha menzionato nulla della malattia. Ha rivelato la verità
alla sua famiglia e agli amici intimi nel 1989. Non ha riconosciuto
pubblicamente di avere la malattia a trasmissione sessuale fino a
quando non ha rilasciato una dichiarazione ufficiale il 23 novembre
1991, il giorno prima della sua morte. Legge:
Dopo l'enorme congettura
della stampa nelle ultime due settimane, desidero confermare che sono
stato testato per l'HIV e ho l'AIDS.
Ho ritenuto corretto
mantenere queste informazioni private fino ad oggi al fine di
proteggere la privacy di coloro che mi circondavano.
Tuttavia, è giunto il
momento per i miei amici e fan di tutto il mondo di conoscere la
verità e spero che tutti si uniranno a me, ai miei dottori e a tutti
quelli di tutto il mondo nella lotta contro questa terribile
malattia.
Si ritiene che abbia contratto il virus
attraverso incontri sessuali che ha avuto come uomo gay.
Freddie Mercury ha registrato un
album di duetti con un cantante d'opera?
Sì. Questo è successo due anni dopo
gli eventi narrati nel film. Dopo aver visto il soprano operistico
Montserrat Caballé dal vivo, la incontrò e la coppia decise di
registrare un album insieme,
Barcellona del 1987. L'album era
indipendente dai Queen e conteneva il singolo "Barcelona",
che in seguito apparve su Queen's Greatest Hits III. Nell'ottobre del
1988, Freddie si recò in Spagna per eseguire tre canzoni con
Caballé. È stato annunciato come una delle sue più grandi
esibizioni. Sarebbe stata anche l'ultima.
Quanti album ha creato Freddie
Mercury con i Queen?
Durante i due decenni dal 1970 al 1990,
Freddie Mercury aiutò a guidare i Queen in 18 album e dozzine di
canzoni di successo.
I membri della band sopravvissuti
sono stati coinvolti nella realizzazione del film?
Sì. I compagni di band dei Queen,
Brian May e Roger Taylor, hanno trascorso otto anni nel tentativo di
realizzare il film biografico. "Siamo molto consapevoli di avere
una opportunità sola, e se non lo facciamo, qualcun altro lo farà
male", ha detto May in un'intervista con TeamRock. "Lo
faremo senza evitare nulla - qualsiasi aspetto di Freddie. Ma
cercheremo di mantenere tutto in equilibrio. Penso che se lo faremo
correttamente cristallizzerà il modo in cui il mondo comprende
Freddie."
Nel 2010, l'attore comico Sasha Baron
Cohen è stato assegnato al ruolo di Freddie Mercury, ma nel 2013 si
è allontanato dal progetto per dispute creative con May e Taylor. Il
regista Bryan Singer è stato licenziato nel dicembre 2017 per
diversi giorni mancati e un rapporto teso con l'attore principale
Rami Malek. Dexter Fletcher (Eddie the Eagle) è stato coinvolto per
completare il progetto.
Brian May e Roger Taylor hanno
trascorso del tempo sul set, oltre al manager di lunga data Jim Beach
e altri. Greg Brooks, l'archivista ufficiale della band, ha lavorato
a stretto contatto con i registi per rendere il film il più preciso
possibile. Ciò includeva dettagli come il tipo di calzini che
indossava John Deacon.
…E poi devi telefonare a un numero
e guidare fino alla stazione di rifornimento e aspettare comprando
delle Rizla per combattere il panico… E poi guidi lungo tutta la
M25 per diciassette volte… sempre esattamente diciassette volte…
E poi ci arrivi, tutti quei tamarri, a migliaia, come bufali, un
esercito di tute in acetato… Bè, le tute in acetato non erano
ancora state inventate, ma, cioè… naturalmente, a quei tempi tutte
le pasticche costavano 75 sterline, che valevano circa 8000 sterline
di oggi, ma erano incredibili, ti portavano letteralmente nello
spazio più profondo, mi ricordo che ero così stordito che sono
volato via come un razzo e non potevo in alcun modo smettere di
orbitare intorno alla Nebulosa del Granchio… Era anche molto più
intimo: tipo quando Oakenfold ha messo un disco di Lil Louis per la
prima volta e ci è sembrato che lo facesse girare direttamente sulla
schiena del mio amico…
Il 1990 è stato uno di quegli anni in
cui si pensa di poter rimanere giovani per sempre. I raver britannici
non se l’erano mai passata così bene. Quelli che ora consideriamo
cliché allora sembravano la cosa più fresca del momento. Tutti i
domani iniziavano oggi. Nel momento in cui il Muro di Berlino era
caduto e la polvere iniziava a posarsi sul Nuovo Ordine Mondiale, la
parole d’ordine era ottimismo, la droga felice era la nuova
religione e per un brevissimo istante gli hippie avevano smesso di
farsi pisciare in testa dai barboni di passaggio ed erano diventati i
veri fichi.
Sicuramente il Regno Unito era il
centro nevralgico di tutto questo. Aveva definito il sentimento
generale, il significato, di tutto. Ma, allo stesso tempo, non era
l’unica nazione con la fissa del neon, quell’anno. Seimila miglia
più a sud un gruppetto di ragazzini svalvolati, per una ragione o
per l’altra, erano scesi giù a Cape Town, in Sud Africa. Durante
gli anni successivi quei ragazzini sono riusciti a portare la cultura
dei beat ripetitivi nel Continente Nero, in una nazione che stava
riemergendo da un pantano culturale ben più profondo e denso di
quello fatto di cliché, trench e cardigan che rappresentavano gli
anni Ottanta della Thatcher.
“La nightlife sudafricana era una
merda in quegli anni,” si lamenta Jesse Stagg, co-proprietario
numero uno di Eden, “Era una combinazione di terribile pop anni
Ottanta: Kylie, Jason, Boy George… e robaccia goth. I goth andavano
alla grande qui. Oltretutto sembrava di essere rimasti incastrati
negli anni Settanta. Andavano tantissimo i Doors.”
“Tutti erano in fissa con Armani e La
Febbre del Sabato Sera. Davvero ‘cool’.” Carl Mason, l'altra
metà di Eden, interviene, “Ero depresso. Avevo lasciato la mia
vita fatta di feste in Inghilterra, per venire qui, e mi ricordo che
a volte rimanevo bloccato a pensare: ‘Gesù, che cazzo mi è
saltato in mente?’”
Diciamo che quel posto era un
tantinello indietro. Questa, dopotutto, era una nazione in cui la
televisione era arrivata soltanto nel 1978 perché il governo
nazionalista pensava che avrebbe avuto un’influenza corruttiva. Nel
Sud Africa del 1990, a causa del boicottaggio di Equity, per poter
guardare Fawlty Towers bisognava contrabbandare gli episodi su
videocassette registrate in casa. Quando non stavano ascoltando
bootleg di Rodriguez o non erano coscritti nell’esercito per
combattere guerre illegali in Angola, i giovani bianchi del Sud
Africa amavano rilassarsi spassandosela dai due ai cinque anni
indietro nel tempo rispetto al resto del pianeta.
Ma nel febbraio 1990 Nelson Mandela,
appena rilasciato, si è affacciato a un balcone durante la Grand
Parade di Cape Town e ha spiegato a tutti che stavano per diventare
liberi e vivere meglio. Il cambiamento era nell’aria. Anche se non
era ancora atterrato al suolo. Jesse e Carl si sono conosciuti in
quello che era il centro della vita notturna di Cape Town: Idols,
quello che voi chiamereste una "discoteca", piazzata in
fondo a Shortmaket Street, che soddisfava i bisogni della sua
clientela pseudo-sofisticata con paralumi pseudo-sofisticati,
pavimenti in legno pacchiani e piena di palle stroboscopiche.
Il papà di Stagg era uno sceneggiatore
che aveva ottenuto un grande successo. Era cresciuto a metà tra il
Sud Africa e Los Angeles. Si ricorda di come registrasse una quantità
industriale di hip-hop dalle radio americane per poi portarlo in Sud
Africa ogni volta che veniva rimandato a casa. Il padre di Carl, dal
canto suo, si era risposato ed era andato in Sud Africa per la luna
di miele. Annebbiato dall’erba, si era in qualche modo dimenticato
di tornare in Inghilterra e aveva iniziato a lavorare in un negozio
di abbigliamento trendy in città.
Nel 1990, però, ha iniziato a
rimpiangere amaramente la decisione. Era già stato un pezzo grosso
della scena inglese e sosteneva anche di aver ospitato il "primo
party di acid house all’aperto" nel suo grande prato inglese
alle porte di Romford. Will Hutton, il loro terzo socio, conferma la
storia: “Carl mi ha telefonato e mi ha chiesto se volessi mettere
un paio di dischi alla sua festa. Sapevo che frequentava una scuola
d’arte. Immaginavo che ci sarebbe stato solo qualche suo compagno
di corso. Invece aveva montato due grandi tendoni, c'erano duemila
persone lì sotto, e altre duemila che urlavano ai cancelli per poter
entrare. Gli agenti anti-sommossa era tutti all’esterno e poi sono
arrivati Boy George, Sade e Aswad. Stavano suonando Paul Oakenfold e
Danny Rampling. Mi ricordo che ero piuttosto eccitato–forse avevo
tirato giù un po’ troppe paste. Mi hanno presentato a Danny
Rampling e allora mi sono avvicinato per stringergli la mano, ma l’ho
mancato, e sono svenuto ai piedi di Boy George.”
Nonostante la bruttezza dell'Idols, tra
i due si era creato un legame: Jesse ha spiegato che stava cercando
un coinquilino e, in meno di una settimana, Carl ha traslocato da lui
tutti i suoi possessi: un letto, una TV e una tavola da surf. I due
hanno presto iniziato a promuovere feste fatte in casa usando il
marchio UFO, che stava per Unlimited Freak Out, iniziando poi una
serata settimanale al sabato sera chiamata Front, che si teneva in
uno spazio squallido su Long Street, suonando un mix di acid house e
hip-hop. “Erano questi i generi più comuni in quei giorni,” mi
ha spiegato Stagg. “Quello che la gente si dimentica è che a quei
tempi tutto si accavallava. Che ne fossero consapevoli o meno, la
maggior parte degli artisti hip-hop dell’epoca aveva almeno una
traccia house sui loro album.”
Mentre, etnicamente parlando, fino a
poco tempo prima sapevi sempre dov'eri collocato, la Acid House ha
rappresentato un punto di incontro fresco tra le tribù, nella terra
di mezzo tra The Doors e Grandmaster Flash. Nel contesto sudafricano,
con le leggi di segregazione ormai ignorate, tecnicamente ancora
valide ma inapplicate, l’Acid House ha creato un territorio dove i
ragazzini, divisi dai binari del treno che tenevano letteralmente
separate le diverse etnie in cui era spaccata la città, potevano
finalmente far balotta insieme.
Quindi è successo che, per trovare un
DJ con un adeguato corredo di vinili super costosi e d’importazione,
Stagg ha attraversato i binari, recandosi nella parte hip-hop della
città. DJ Rozzano, "una delle prima persone a suonare house in
Sud Africa," stando a quanto dice lui, era resident nell’unico
club multi-razziale della città: The Base. “The Base era uno show
pomeridiano,” spiega. “Perché per il modo in cui era costruita
la città, la maggior parte dei non-bianchi viveva sul confine,
quindi per colpa della distanza e della mancanza di trasporti
pubblici doveva essere per forza al pomeriggio, per permettergli di
tornare a casa.”
“Noi persone di colore abbiamo
iniziato a entrare davvero in città solo in quel periodo.” Ricorda
Rozzano. “Prima era illegale. Lo era ancora, tecnicamente. Ho
incontrato Jesse lì. Mi ha sentito suonare e mi ha chiesto di
suonare a qualche festa clandestina. Penso che il rapporto tra
bianchi e neri fosse circa di 60 a 40. Il 40% erano neri e mulatti.
Principalmente mulatti. Era una cosa nuova. Era esotico. Era il 1990.
Mandela era appena uscito. È stata quella la prima ondata di club
misti. Per noi, che eravamo abituati a ballare solo tra persone nere,
era ancora piuttosto strano ballare insieme ai bianchi.”
Qualche mese più tardi, i ragazzi
hanno toccato il loro punto di non ritorno con il World Peace Party.
“Il volantino era il logo ‘peace’ degli hippy,” spiega Stagg,
“ma qualche organizzazione cristiana locale ha iniziato a strappare
i poster che avevamo appeso in giro per la città. Sostenevano che
fossero satanici. Ecco la reazione di Cape Town. Allora siamo andati
dalle stazioni radio e siamo stati al gioco. Abbiamo fatto delle
dichiarazioni dicendo che queste persone erano degli attivisti
anti-pace. Questa cosa ha iniziato a circolare come notizia. Ne
abbiamo tratto un sacco di pubblicità gratuita…”
Attraversando i binari che dividevano
la città per razze, quattromila persone si sono dirette in un
magazzino di Paarden Eiland, una mini-Woodstock per gli standard di
quel tempo. Alle dieci del mattino seguente, dopo che si erano tirati
un bell’areosol di popper e sudore marcio (e dopo essere giunti
all’amara conclusione che il loro terzo partner era scappato con
tutto l’incasso), il duo si è convinto che la scena avesse
raggiunto una massa critica. Hanno assunto una manciata dei loro
amici come collaboratori, Stagg si è licenziato dal suo lavoro come
pubblicitario, e in nemmeno 48 ore hanno messo insieme 100,000R
(circa 50,000 euro di oggi), per aprire Eden, con una capienza di
mille persone, costruito con l’obiettivo di essere un luogo
d’incontro ai confini del centro, nella cornice di quella che un
tempo doveva essere una fabbrica di gelati.
“Eravamo davvero–e vorrei questa
notizia si spargesse nell’etere per vedere se c’è qualcun altro
d’accordo–uno dei primi superclub di sempre,” dice Stagg,
“Questo è successo tre anni prima di Cream e tutto il resto. Tutti
organizzavano feste in ambienti poco originali. Ma Eden aveva un suo
brand, un logo ben caratterizato e un insieme di valori che andavano
oltre l’essere semplicemente uno spazio dove le persone potevano
ballare.” Hanno interpretato l’idea di essere una festa di arte
libera. Per esempio hanno appeso sopra la pista da ballo una balena
gonfiabile gigante in una rete. I loro buttafuori erano vestiti di
viola, e si comportavano bene con tutti, li chiamavano "Guardiani
dell’Eden". Hanno stampato decalcomanie di bambini sui muri e
hanno messo in loop video artistici su schermi giganteschi,
includendo “It” il film Feminazi di Kenneth Anger: un’ora ben
spesa di interviste a donne che parlano del pene dei loro mariti.
L’unica parte visuale era questa sequenza di vari peni alti tre
metri proiettati sulle pareti del club.
“Ci piaceva sederci dal lato opposto,
per guardare la reazione della gente,” ricorda Stagg. “Le
decorazioni omaggiavano l’Hacienda. Era una roba fruity-industrial.
Le pareti erano tutte dipinte con diversi colori. Avevamo grandi
colonne, dipinte d’argento. Grandi travi a croce al centro, c’erano
anche grandi palle al 50 percento di polistirene, dipinte d’argento
e incastrate nei muri così il locale sembrava si amalgamasse su se
stesso. C’erano grafiche gialle attorno al dancefloor. Ma l’entrata
era sul livello superiore, quindi per arrivare alla pista bisognava
scendere una lunga rampa. Creava un certo effetto scendere lungo
quella via. Era un’anticipazione, e potevi vedere le luci, annusare
l’odore del fumo, e iniziare a sentire scorrere l’energia che
veniva da là sotto. Una volta arrivati lì ci si sentiva al sicuro.
Sembrava di essere nella pancia della bestia.”
“Era molto sperimentale,” ricorda
Matthew Quinton. “Mi ricordo che, nel mezzo di “Little Fluffy
Clouds” di The Orb, la musica si è fermata e tutte le luci si sono
spente, e i colori sono cambiati in una singola e roteante luce
blu–come quelle della polizia, ed è partito un loop di schiamazzi
di delfini, di canti delle balene. Tutti stavano in silenzio. La
gente ha interrotto i suoi viaggi interiori e si è guardata intorno,
cercando gli occhi degli altri. Poi, gradualmente, uno alla volta,
abbiamo iniziato a provare a ballare su questo nuovo suono,
muovendoci l’uno con l’altro, finché si è creata quest’onda
che si contorceva di corpi dolcemente ondeggianti. Era, cliché a
parte, un posto di scoperta interiore. Era a metà tra un utero e un
rave. Si mescolavano sensazioni di sicurezza e di pericolo in egual
misura.”
Insomma, è in questo utero che i
fautori del gusto di domani hanno avuto la loro gestazione. A
quell’epoca era solo un sedicenne ma il futuro top dj e fondatore
di Mutha FM Nick E Louder si ricorda dell’Eden come di un posto
“piuttosto strano. Ha chiuso e poi riaperto, diventando ancora più
strano… Le persone provavano ad esprimere loro stesse–era un
delirio di colori chiari, arancioni fluorescenti–credo che
imitassero quello che potevano vedere sulle riviste. Le ragazze erano
solite fare body painting e a parte quello rimanere nude. Tu potevi
sederti lì e stare a guardarle…”
Chavda ha aiutato a tirar su la
successiva ondata di rave in Sud Africa, co-fondatore di Synergy, era
solo diciottenne quando è inciampato per la prima volta nel loro
utero arancione. “È stato davvero il più grande club che ci sia
mai stato a Cape Town. Suonavano tutto quanto a 124bpm, perché è
quella la velocità a cui batte il cuore di un bambino quando è nel
grembo della mamma. E i loro volantini venivano dal futuro. Li
facevano di qualsiasi cosa – perspex, mutandine, potevano rischiare
spendendo molto perché erano sicuri che almeno una persona su due
sarebbe andata alla festa.”
Naturalmente, dato che la scena a cui
si rivolgeva era comunque ridotta e isolata, Eden mancava di molte
delle amenità di corredo. I vestiti, per esempio. “Nulla che si
potesse dire appropriato era disponibile all’epoca,” dice
Quinton. “Quindi le persone erano solite farsi i loro vestiti.
Poteva capitarti di andare a casa di qualcuno un sabato sera, e
passare tre o quattro ore a creare il tuo outfit. Avevo una sarta di
fiducia in Greenmarket Square che faceva tutti i miei. Ogni tre mesi
circa mi dicevo ‘Bene, è tempo di un nuovo outfit…’ Non
c’erano uniformi, nulla che potesse assomigliare a un dress code.
Mi ricordo una volta che stavo andando in bagno e ho visto un tale
vestito come una rana gigante uscirne fuori. C’erano persone che
non ballavano nemmeno, andavano lì solo per indossare i loro abiti
sadomaso. Mi è capitato spesso di andare al club dopo la spiaggia,
con i miei short e una maglietta malconcia.”
E, almeno per un po’, anche
qualcos’altro ha continuato a mancare. Will Hutton: “Sono venuto
fuori dalla gigantesca scena acid house di Londra. Ma quando sono
arrivato l’ecstasy non aveva ancora invaso Cape Town, e non l’ha
fatto fino all’ultima parte della prima stagione. Ma c’era la
stassa euforia che c’era a Londra. La gente si scatenava al massimo
senza che ci fosse una forza chimica dietro. Mi ha lasciato piuttosto
basito. Mi veniva sempre da chiedere ‘Bene, dov’è la droga?’ e
le persone mi diceva tipo: ‘Ecco, non ne abbiamo…’ e io
rispondevo, ‘Ok, che cazzo state facendo allora?’
Stagg: “Era molto difficile farsi di
qualcosa all’inizio. Spesso bisognava arrangiarsi in altri modi.
Gli acidi andavano un casino. E poi c’era qualcosa chiamato ‘Tonico
Dimagrante Del Dr. Baxter’, che si poteva comprare in farmacia giù
a Sea Point. Aveva scritto a chiare lettere: ‘ATTENZIONE: NON BERE
DOPO LE 4PM’. Mi ricordo di esserci passato davanti un pomeriggio e
aver visto una coda lunghissima di raver, già piuttosto magri a dire
il vero, tutti in fila per fare scorta del loro tonico dimagrante…”
“La prima stagione non ha avuto
niente a che vedere con l’Ecstasy,” spiega Quinton, “A quei
tempi qualche volta ti capitavano dei colpi di fortuna e avevi un
amico appena tornato da Londra che ne aveva nascosta un po’ nella
valigia. Ma nella maggior parte dei casi bisognava arrangiarsi per
gli acidi. Il consumo di droghe non avveniva così alla luce del
sole. C’era certamente pochissima coca. Ma la seconda stagione…”
“Perché l’abbiamo chiamato Eden?”
sogghigna Stagg, “perché volevamo che fosse un enorme paradiso
dell'E…”
Ed è effettivamente diventato presto
un gigantesco paradiso dell'Ecstasy. E quando le cose vanno così,
finiscono presto un po’ alla Tony Wilson. All’inizio del ’93 il
club era un’emorragia di soldi. Nella troppa fretta i due non si
erano preoccupati granché di fogli e contratti. In realtà non c’era
nessun contratto tra i vari partner. Alcuni erano sempre più ansiosi
di avere un ritorno economico. Alcuni non andavano d’accordo con
gli altri. Uno era stato rimpiazzato: a insaputa di tutti gli altri,
era stato sostituito da un uomo d’affari israeliano, che nel suo
bel vestito incarnava il perfetto gestore di club, ed è subentrato
attivamente a coprire la sua quota di passività nel bilancio. “Un
bel giorno siamo arrivati e ci hanno detto che avremmo avuto un nuovo
socio – Shirek, penso si chiamasse così,” ricorda Carl, “è
stato in quel momento che le cose hanno iniziato ad essere davvero
strane, in realtà…” Il bordello che stava al piano sopra il loro
edificio si era spostato, stanco per il continuo rumore. Quindi hanno
ereditato tutto un piano di nuovi uffici: con quattro docce e due
jacuzzi. La droga stava diventando sempre più facilmente
disponibile. La droga stava diventando un problema.
È una storia che si è ripetuta un
migliaio di volte, l’idealismo con cui era nato il progetto ha
lasciato il passo all’egoismo. Alla fine, i soci hanno
semplicemente staccato la spina. Se ne sono andati senza recuperare
un centesimo. “Ma non è mai stata una questione di soldi,
comunque,” considera Stagg, “si trattava di fare qualcosa di
originale. Proprio l’altra notte ho mostrato il logo di Eden a
questa ragazza, ed è letteralmente impazzita. Ci veniva sempre
quando era una teenager. Ho incontrato persone a Los Angeles, Londra,
ovunque, che erano clienti dell’Eden. Abbiamo aperto gli occhi a
migliaia di persone su quello che stava succedendo nel mondo. Questa
cosa è impagabile”